L'opinione - Inter, c'era una volta un grande club: Inzaghi, Marotta e le parole pre Porto

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L'opinione - Inter, c'era una volta un grande club: Inzaghi, Marotta e le parole pre Porto
La dirigenza nerazzurra con il tecnico Simone Inzaghi
La dirigenza nerazzurra con il tecnico Simone InzaghiProfimedia
L'allenatore si arrabbia con chi non dà valore alla Coppa Italia e alla Supercoppa che ha vinto in due anni. Il dirigente, alla vigilia della parte decisiva della stagione, scarica Lukaku e Lautaro.

La foto che precede queste parole è l'esatta dimensione dell'Inter attuale. Un club grande con una squadra dirigenziale piccola piccola (capitan Zanetti escluso, s'intende). Secondo loro, i tifosi nerazzurri dovrebbero accontentarsi di due Supercoppe italiane e un Coppa Italia in due anni, nonostante si possa contare su una rosa sicuramente più forte di quella del Milan campione d'Italia.

La situazione in casa Inter è così grave che è bastata la qualificazione ai quarti di finale di Champions League, acciuffata a base di catenaccio e palla in tribuna, per permettere di alzare di nuovo la cresta a un allenatore che, evidentemente, non ha capito dove si trova e nessuno si è preso la briga di spiegarglielo: "Non ho nessuna rivincita da prendermi. Io so il percorso fatto fin qui all'Inter".

In realtà il suo percorso è sotto gli occhi di tutti, però, a quanto pare, Simone Inzaghi ha da ridire sullo scudetto conquistato dal suo predecessore, Antonio Conte: "Negli ultimi dodici anni l'Inter ha vinto uno scudetto che gli ha procurato qualche problemino economico. Negli ultimi diciotto mesi ha vinto tre trofei, ha vinto una Coppa Italia, due volte la Supercoppa e ora è ai quarti di Champions. Parlerò quando ne avrò voglia". Surreale.

In realtà, la colpa non è nemmeno del tecnico emiliano. Non tutta. E già, perché confermandolo sulla panchina dell'Inter la scorsa estate, è stata la società nerazzurra a mandare un messaggio forte e chiaro sia lui ("bravo") che ai propri tifosi ("è quello che passa il convento"). 

A dimostrare che le ambizioni della gruppo dirigenziale interista siano modeste, lo ha confermato anche Giuseppe Marotta ieri sera. Ebbene, alla vigilia della partita (sinora) più importante dell'anno e, più in generale, della parte decisiva della stagione, l'amministratore delegato ha scaricato ai microfoni di Sky Romelu Lukaku: "Il prestito è stato fatto per una stagione, il 30 giugno indipendentemente da quello che è il suo andamento, Lukaku torna al Chelsea".

Lukaku e Lautaro: scaricati
Lukaku e Lautaro: scaricatiProfimedia

Non contento di aver fatto sapere al calciatore al quale la scorsa estate aveva affidato il suo progetto che dovrà tornare dove non vuole tornare, Marotta lo ha umiliato in diretta: "Devo sottolineare come questa sia una stagione molto anomala, i problemi nostri sono quelli di altre squadre e mi riferisco all’anomala disputa dei Mondiali: Lukaku è un esempio, anche Brozovic non è il solito. Entrambi sono stati alle prese con infortuni e non si sono ancora ripresi bene. Lukaku non ritrova la forma agonistica che ne fanno la sua forza principale, da questo punto di vista non è al top e non è il Lukaku visto nelle annate precedenti".

L'ad nerazzurro è troppo esperto per essersi lasciato sfuggire una considerazione così superflua e inutile, perché non c'è davvero nessuno in circolazione che sostenga il contrario. Tuttavia, se invece di difenderlo e dimostrargli di avere fiducia in lui, il club nerazzurro decide di scaricarlo è perché è cosciente che c'è un unico modo di trattenerlo a Milano: che il Chelsea decida di regalarlo.

E anche in quel caso, Steven Zhang potrebbe considerare troppo alto il suo ingaggio. La proprietà cinese non vede l'ora di vendere la società e, a questo punto, la speranza dei tifosi non può che essere che si faccia vivo quanto prima un possibile acquirente.

Quando succederà, però, oltre a Lukaku, potrebbe essere andato via anche Lautaro Martínez. Dopo aver scaricato BigRom, Marotta ha, infatti, criticato il Toro: "Una bandiera? Le bandiere non esistono più perché il calcio di oggi è diverso da quello romantico degli anni passati. Adesso i calciatori sono piccole aziende e guardano anche le ambizioni che le squadre hanno e il nostro è un calcio un po' ridimensionato, è evidente che la concorrenza è molto più forte e questa concorrenza porta al fatto che alcuni giocatori italiani, che vanno per la maggiore, possano essere appetibili per i club europei".

Era davvero necessario dirlo ora? Se l'unico obiettivo è quello di ridurre i costi per vendere un club (almeno in parte) risanato, sì, lo era.