Dal Napoli di Maradona a quello di De Laurentiis: dal fallimento al tricolore

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Dal Napoli di Maradona a quello di De Laurentiis: dal fallimento al tricolore
Il presidente De Laurentiis
Il presidente De Laurentiis
Profimedia
Dopo aver riportato in Serie A un club fallito, il produttore cinematografico ha puntato dritto verso la vetta della classifica, sfiorando il titolo anche prima di quest'anno e portando la squadra tra le migliori otto del vecchio continente.

Se i primi due scudetti del Napoli sono stati nel segno di Diego Armando Maradona, anche il terzo tricolore ha un protagonista assoluto. Questa volta, però, non si è mosso dentro ma fuori dal terreno di gioco. E già, perché con tutte le sue contraddizioni, la propria irruenza e i suoi cambi d'umore repentini, senza Aurelio De Laurentiis nulla sarebbe stato possibile.

Dopo aver riportato in Serie A il club campano dopo il fallimento, il produttore cinematografico ha puntato dritto verso la vetta della classifica, sfiorando il colpaccio anche prima di quest'anno. Per una ragione o un'altra, tuttavia, soltanto con Luciano Spalletti in panchina e Kvaratskhelia e Osimhen in campo, il Napoli è riuscito a riconquistare un titolo che mancava da 33 anni e a entrare per la prima volta nella storia della società tra le otto migliori squadre europee.

Kvara e Osi
AFP

Un po' presidente, un po' capopopolo: "Per Napoli e i suoi abitanti sembrerà un riscatto contro il nord Italia, una vendetta per chi si sente svantaggiato o discriminato. Tuttavia, mi batto perché il sud e il nord formino un'unità italiana. Non è facile, ma sono orgoglioso di portare la bellezza del sud nella nebbia del nord. Ho sempre considerato Napoli una città centrale".

Una frase che ricorda quella con cui Maradona assicurava che il suo Napoli era riuscito a "ribellarsi alle ingiustizie delle squadre del Nord". E, del resto, caratterialmente sono molte le similitudini tra i due. Come l'irruenza e quel vizio di parlare prima di pensare per poi pentirsi e tornare sui propri passi per il bene della squadra: "Basta africani, non pago gli stipendi per vederli giocare con altri", assicurò la scorsa estate, riferendosi alla Coppa d'Africa, prima di rimodulare il proprio messaggio quando, probabilmente, si sarà ricordato della nazionalità del proprio capocannoniere e trascinatore. 

Il presidente e il suo braccio destro
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Gli è successo anche con Cristiano Giuntoli che, a un certo punto, ha seriamente pensato che lo avrebbe licenziato: "In così tanti anni è impossibile non avere mai una discussione. Considero De Laurentiis un fuoriclasse, un manager fuori dal tempo, con una visione straordinaria del futuro. Lungimirante come pochi".

Ed è per questa ragione che anche il ds toscano non ha dubbi quando si tratta di individuare il principale artefice del Napoli tricolore: "Credo che la proprietà dell'era De Laurentiis ha fatto cose straordinarie in questi anni. In particolare grandi meriti vanno al presidente, che ha preso questa squadra in terza serie e l'ha portata a questi livelli. Io gli devo molto, perché mi ha permesso di vivere questo grande calcio".

Un altro mecenate della storia del pallone nostrano la pensa esattamente allo stesso modo: "Il grande merito di questo Napoli è del presidente De Laurentiis - ha ammesso Massimo Moratto - . Ha avuto anzitutto il coraggio di cambiare la squadra, psicologicamente e fisicamente. Ha preso e tirato via dei calciatori che sembravano essenziali, prendendone altri che sono tutti bravissimi".

Gli scontri sulle gradinate del Maradona
AFP

Paradossalmente, i problemi principali, DeLa, li ha avuti con i suoi stessi tifosi. Beh, non proprio suoi, del Napoli. E già, perché la verità è che così come loro non sopportano lui, lui non sopporta loro. Quello che è successo lo scorso 2 aprile, tuttavia, in occasione della sfida di campionato contro il Milan è stato un bruttissimo episodio che, forse, ha finito per compromettere le chance della squadra di entrare tra le migliori quattro del vecchio continente.

In un'atmosfera surreale, infatti, il Milan rifilò un poker agli azzurri ribaltando quelli che erano stati, sino ad allora, gli equilibri visti in campo e cominciando a preparare il terreno per la doppia sfida di Champions League che si è chiusa con la qualificazione dei rossoneri e la sensazione che gli azzurri non se la siano giocata fino in fondo.

Ora bisogna solo capire se la pace firmata con gli ultras non sia piuttosto una tregua destinata a ricominciare l'anno prossimo alle prime divergenze. Prima, però, festeggeranno tutti insieme il terzo scudetto.