Esclusiva Flashscore, Signorini: “I calciatori di oggi sono pecore. Il business si è mangiato il gioco"

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Esclusiva Flashscore, Signorini: “I calciatori di oggi sono pecore. Il business si è mangiato il gioco"

Esclusiva Flashscore, Signorini: “I calciatori di oggi sono pecore. Il business si è mangiato il gioco"
Esclusiva Flashscore, Signorini: “I calciatori di oggi sono pecore. Il business si è mangiato il gioco"Profimedia
L’ex preparatore atletico di Diego Armando Maradona, che allenò anche Lionel Messi ai Mondiali del 2010, sottolinea come i tanti infortuni pre Mondiale del Qatar siano l’ovvia conseguenza di un calendario troppo fitto e di un calcio ormai da tempo diventato “disumano”.

Fernando Signorini (72) ha girato il mondo grazie alle sue enormi conoscenze da preparatore atletico. Diventato amico di Luis Cesar Menotti e di Diego Armando Maradona nel periodo in cui questi due militavano nel Barcellona, ‘el Profe’ si è trasformato nel miglior assistente possibile per il 10 argentino, seguendolo dal 1983 al 1994. Da Barcellona ai Mondiali di USA ‘94, con in mezzo sette anni a Napoli, Signorini ha costruito una carriera unica che oltre a risaltarne il ruolo di primo preparatore fisico personale per un calciatore ne ha sviluppato la coscienza critica sullo sforzo dei giocatori. I tanti infortuni che hanno preceduto il Mondiale di Qatar 2022 non lo stupiscono affatto…

Nel suo libro edito nel 2014 “Calcio, un richiamo alla ribellione. La disumanizzazione dello sport” lei punta il dito contro i calendari eccessivamente fitti del calcio di oggi, che provocano troppo spesso infortuni.

Il business ha finito per  mangiarsi lo spettacolo. Oggi non importa più la qualità del gioco quanto la quantità. Vincere è l’unica cosa che conta e per il resto non c’è spazio. È un approccio culturale sbagliato, che sta facendo marcire il calcio, sempre più un prodotto e meno uno sport.

Nella sua partita d’addio Diego Maradona aveva pronunciato tra le lacrime la celebre frase “la pelota no se mancha” (il pallone non si macchia). E invece pare sia successo tutto il contrario…

Se non dicono niente i calciatori… che si freghino. Sono loro quelli che devono parlare. Diego nell’86 fu l’unico a dire quello che pensava del calendario, e ancora non era così carico d’impegni come adesso! Oggi l’unico che si è manifestato contro la corruzione e contro le morti in Qatar è stato Philipp Lahm, che non gioca da un pezzo. Se i giocatori si lasciano strumentalizzare dal business, quello è un problema loro.

Ci vorrebbe un sindacato internazionale dei calciatori.

Ma nessuno parla, nessuno agisce. In tanti sono multimilionari eppure non si fanno sentire, né tanto meno dimostrano di sentire un impegno solidale verso i propri colleghi meno fortunati. Potrebbero avere un potere immenso eppure non lo esercitano. Il calcio è uno sport collettivo ma i giocatori non sono stati educati all’umanità e ognuno pensa a sé stesso, e finisce col diventare sempre più egoista. I calciatori dovrebbero ricordare che senza di loro non c’è lo spettacolo. Quale sarebbe l’impatto mediatico di un sindacato dei giocatori? Neanche la FIFA si potrebbe opporre…È un prodotto che vende tanto, forse troppo…

E la gente continua a consumarlo. È tutta una porcheria. Pensa che l’altro giorno ho visto la finale della Supercoppa argentina con il mio vicino, tifoso del Racing. Alla fine della partita, visto che ho portato bene, mi ha detto di andare a casa sua anche per l’esordio dell’Argentina contro l’Arabia Saudita, alle sette del mattino! Gli ho detto: "non contare su di me" (ride). 

Che differenza c’è tra un Mondiale a fine stagione e uno nel bel mezzo della stessa?

A fine stagione i calciatori arrivano molto meglio, perché quando finiscono i campionati gli unici giocatori che sono stati costretti a uno sforzo notevole sono quelli che sono arrivati alle semifinali e alla finale della Champions. Adesso, invece, con un calendario così fitto è tutta un’altra cosa. Prima c’erano almeno due settimane di preparazione, adesso alcune squadre non ne hanno avuta neanche una…

Nel suo libro uscito otto anni fa il titolo parlava della ‘disumanizzazione’ dello sport.

Un titolo premonitore, ma già all’epoca era evidente questo processo di perdita di un’umanità che invece dovremmo recuperare per la costruzione culturale delle classi popolari. Ma a nessuno importa niente di tutto ciò. Qui in Argentina un ragazzino di 18 anni si è suicidato perché è rimasto fuori dalla lista dei convocati di una squadra. E non è il primo caso. Ma cosa fanno i governi al riguardo? 

È sfuggito tutto di mano, apparentemente.

È il circo romano. È come nell’arena, solo che invece di avere i leoni contro i gladiatori ci sono le persone a sfidarsi tra di loro. E il calcio va di pari passo. È un business che non si può fermare in nessun momento.

Lei accompagnò Maradona ai Mondiali ‘86 e ‘90, quando Diego era calciatore. Quale fu il cambio più evidente vent’anni più tardi, quando era il preparatore dell’intera nazionale, Messi compreso, nella tappa da commissario tecnico di Maradona?

Senza dubbio i tempi di preparazione, che in Sudafrica furono molto corti, visto che effettuammo un ritiro di appena nove giorni. A confronto basta pensare che nel 1978 Cesar Menotti iniziò quattro mesi prima la preparazione, visto che i giocatori a sua disposizione erano tutti impegnati nel campionato argentino (a parte Mario Alberto Kempes ndr). Nel 1986 avemmo a disposizione una quarantina di giorni in totale. 

Lei ha seguito il procedimento di recupero fisico di Diego dopo la rottura della caviglia. È scontato dunque pensare che una lesione all’articolazione è più dannosa di una muscolare, la più frequente tra i giocatori lesionati di recente?

Sì, ma dipende dal grado dell’infortunio. E non esiste solo il problema del recupero fisico, quanto quello della ripresa mentale. Un infortunio ti mette in testa tanti dubbi. In Argentina diciamo “Chi si brucia con il latte, appena vede una mucca piange”. In molti riducono il discorso solo al recupero fisico, eppure il problema centrale è quello mentale.

Ci dia qualche esempio.

Nel 1978 Menotti aveva già convocato Ricardo Bochini ai Mondiali, eppure lui era convinto di essere malato di cancro. Invece non aveva niente. Eppure era talmente suggestionato da questa ipotesi che durante gli allenamenti fu talmente deludente che non venne convocato per il Mondiale. L'aspetto emozionale è decisivo, e nessuno lo tiene in considerazione.

L’Argentina, tra le favorite al titolo, vede arrivare Angel Di Maria e Paulo Dybala non al top dopo problemi muscolari. Sembra una forzatura ma il richiamo del Mondiale è fortissimo.

Ed è questa forzatura che a me dà molto fastidio. I giocatori sono l’ultima ruota del carro quando in realtà dovrebbero essere loro a comandare. Immagina cosa potrebbero fare alzando la voce i vari Messi, Benzema, De Bruyne, Salah… Per me non dovrebbero aver paura neanche di un’udienza al tribunale dell’Aia. Come è possibile che non si facciano sentire? Mi ricorda molto la dialettica signore-servo di Hegel, con il sistema che usa il calcio per lanciare un messaggio sbagliato, su tutti quello che bisogna vincere per forza e che il secondo è un fallito.

Tutto questo circo, rischia realmente di rovinare lo spettacolo del gioco?

Logicamente è così. Inoltre, pensa anche all’ipotesi del pareggio che porta ai supplementari, che possono arrivare anche in una situazione climatica di alta temperatura. Sono trenta minuti in più di fatica. Ma perché si giocano i supplementari? Perché sono trenta minuti in più di pubblicità. E quanto costa il minuto di pubblicità? Inoltre lo spettacolo sarà poverissimo, perché quante squadre possono davvero arrivare fino in fondo e competere. Per me dovrebbero giocare dieci nazionali e giocare tutte contro tutte. Perché con la formula attuale non vince il migliore, ma chi lo vince e basta. E a volte anche per fortuna.

In Argentina, dove l’inflazione galoppa e sempre più famiglie vivono sotto la soglia di povertà, il pane e il circo del calcio sta creando molto fomento nei giorni precedenti il Mondiale di Qatar…

È la conseguenza del fatto che il calcio è ormai diventato puro business. Un business frivolo che fa sì che le persone pensino che bisogna giocare e sentire la maglia e alimenta uno stupido sentimento di patriottismo. 

Questa tendenza però è in parte giustificata col fatto che sarà l’ultimo Mondiale di Lionel Messi.

Non sono sicuro che sarà l’ultimo Mondiale di Messi (35). Anzi, ti dirò che per me può continuare a giocare tanti altri anni, magari giocando un po’ più dietro oppure entrando nel finale. Parliamo di un genio che nasce una volta ogni tanto. Messi è arrivato miracolosamente poco dopo Diego, ma è una coincidenza. Inoltre, ti dico una cosa: gli offriranno talmente tanti soldi per non farlo smettere che tutto può succedere…

Il suo ostracismo verso il Mondiale del Qatar è ormai appurato. Ciò nonostante, sarebbe felice di vedere l’Argentina sul tetto del mondo?

Sarei contento per i calciatori e per lo staff tecnico. E anche per i ragazzi argentini senza risorse economiche la cui unica gioia è vedere i loro idoli trionfare. Ma per nessun altro.