Morte Berlusconi, tutti gli uomini del presidente

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Morte Berlusconi, tutti gli uomini del presidente

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Berlusconi, tutti gli uomini del presidente
Berlusconi, tutti gli uomini del presidenteProfimedia
Raffaele Palladino è stato soltanto l'ultimo di una lunga lista di allenatori che, da una parte, hanno avuto la fortuna di lavorarci assieme ma, dall'altra, hanno dovuto sopportare le bizze di uno dei dirigenti più istrionici dell'intera storia del calcio. Dopo la spettacolare esperienza al Milan, in compagnia del fido Galliani, l'ex primo ministro puntava a portare in alto il Monza. Naturalmente, senza perdere il suo vizietto: fare la formazione. O, quantomeno, provarci.

Nella primavera di sei anni fa, oramai, il Milan calò il sipario sul proprio ancien régime per entrare nel futuro. Sia bene inteso, non necessariamente "ancien" ha un'accezione negativa e "futuro" positiva: "Lascio oggi, dopo più di trent'anni, la titolarità e la carica di Presidente del Milan. Lo faccio con dolore e commozione, ma con la consapevolezza che il calcio moderno, per competere ai massimi livelli europei e mondiali, necessita di investimenti e risorse che una singola famiglia non è più in grado di sostenere".

Con queste parole, Silvio Berlusconi salutò i tifosi rossoneri e, in un secondo impeto di inusuale umiltà, ci tenne a sottolineare il privilegio di poter condividere la sua avventura con alcuni degli allenatori e dei calciatori migliori al mondo: "Non potrò mai dimenticare le emozioni che il Milan ha saputo regalarmi e regalare a tutti noi. Non dimenticherò mai tutte le persone grazie alle quali ho avuto il privilegio di presiedere il Club che ha vinto così tanto. Prima di tutto, naturalmente, i grandi tecnici e i grandi campioni che hanno reso possibile queste imprese che rimarranno per sempre nella storia del calcio. Nominarli uno ad uno sarebbe impossibile: a tutti loro un grande abbraccio collettivo”.

E, come non poteva essere altrimenti, l'ultimo pensiero era andato alla propria ombra, al proprio factotum, a quello che, probabilmente aconr più di lui, era stato il vero artefice del grande Milan: "Lo stesso abbraccio che rivolgo a tutti coloro che, con ruoli dirigenziali, tecnici, amministrativi e sanitari hanno fatto del Milan non solo una squadra, ma una società modello nel mondo del calcio. Fra queste persone, il primo da citare è Adriano Galliani, che del nostro Milan è stato l'infaticabile costruttore e motore".

Non a caso, quando decise di ripartire da una piazza alla portata "di una singola famiglia", il presidentissimo lo fece a braccetto del suo amministratore delegato preferito. Il progetto Monza nasce sicuramente dalla voglia di dimostrare al mondo del pallone che gli enormi investimenti economici non erano l'unico segreto del successo della premiata ditta Berlusconi-Galliani, ma anche e soprattutto dalla passione per questo sport, dalla necessità esistenziale dell'ex primo ministro di continuare a sentirsi vivo, di dire la sua su un "giuoco" che è sempre stato convinto di conoscere come e meglio dei proprio allenatori.

Raffaele Palladino
Raffaele PalladinoProfimedia

Fare la formazione è sempre stato il suo pallino: "L'ho sempre fatto con tutti gli allenatori al Milan e lo farò anche con Palladino, che è un tecnico che conosco bene, è da anni con le giovanili del Monza e quindi merita assolutamente fiducia - ha assicurato lo scorso settembre, subito dopo la vittoria contro la Juventus, ai microfoni di TeleLombardia - . Ho deciso, con Adriano Galliani, di affidargli la squadra perché a nostro parere lo merita davvero, ma non c'è dubbio che me ne occuperò anche io direttamente perché, del resto, mi pare di aver dimostrato anche nel calcio di saper realizzare gli obiettivi che mi pongo".

Insomma, qualora qualcuno potesse davvero avere dei dubbi su quali fossero le sue intenzioni, fu lo stesso Berlusconi a fugarli: "Me ne occuperò anche io direttamente". Appunto. La storia si ripete e, a questo punto, soltanto il tempo dirà in che categoria verrà inserito Raffaele Palladino e con quanti onori verrà ricordato l'ultimo uomo del presidente.

La prima categoria è riservata a soltanto due dei 15 allenatori che ha avuto nei suoi 31 anni al Milan. Il primo è chiaramente Arrigo Sacchi (1987-1991 e 1996-1997). Per difendere il Profeta di Fusignano, Berlusconi scese negli spogliatoi per far capire ai giocatori che si lamentavano dei suoi metodi di lavoro che prima di esonerare lui, avrebbe mandato via tutti loro. Il resto è storia e, nonostante nel suo Milan non ci fu mai spazio per uno dei pallini del presidente ("E Borghi?"), Sacchi non si è mai sentito in discussione, nemmeno quando tornò nel 1996 per mettere, senza riuscirci, una toppa al dopo Capello: "Borghi? Mi dia Rijkard e vinco tutto". E andò proprio così.

Bisogna arrivare fino al 2001 per trovare l'unico altro tecnico che Berlusconi non ebbe mai il coraggio di criticare in pubblico. E non per il derby vinto 6-0, ma perché Cesare Maldini era la sua macchina del tempo, la leggenda viva del Milan che gli permetteva di tornare giovane: "Io il ricordo di Cesare ce l'ho da semplice tifoso. Con quel Milan che nel 1963 vinse per la prima volta la Coppa dei Campioni. Credo che sia un ricordo, un'immagine che ogni tifoso del Milan ha dentro la sua memoria, perché è stata una cosa grande. Poi da lì abbiamo imparato e ne abbiamo conquistate altre, ma è stato lui il primo".

Carlo Ancelotti
Carlo AncelottiAFP

Appartengono alla seconda categoria, invece, Fabio Capello (1991-1996 e 1997-1998) e Carlo Ancelotti (2001-2009). Entrambi fortemente voluti, ma allo stesso tempo sopportati soltanto perché vincenti. A Don Fabio, infatti, Berlusconi non ha mai perdonato la sua poca predilezione per quello che è stato uno dei suoi calciatori preferiti: "Voglio Savicevic sempre in campo". È stato lo stesso Capello, così come poi avrebbe fatto anche Ancelotti, ad ammettere che il presidente "provava a farmi la formazione, ma poi decidevo io". Una Champions League, qattro scudetti, tre Supercoppe italiane e una europea gli consentirono di restare al proprio posto nonostante i ripetuti sgarbi nei confronti del Genio montenegrino: "Presidente, bisogna correre in 11".

L'imperdonabile affronto di Carletto, invece, fu quello a forma di albero di Natale: "Manderò una lettera: da lunedì qualsiasi tecnico del Milan sarà obbligato a giocare con almeno due punte. Non è una richiesta, è un obbligo". Con il suo solito savoir faire, il tecnico emiliano dribblò alla grande la provocazione concedendo al suo presidente meriti non suoi: "L'idea dell'albero di Natale mi è venuta perché Berlusconi mi chiedeva che la squadra giocasse bene e quello era l'unico schema per far giocare tutti i giocatori di qualità". Berlusconi, però, se la legò al dito e nonostante Ancelotti conquistò uno scudetto, una Coppa Italia, due Champions League, due Supercoppe Europee e una Coppa del mondo per club, quando andò via lo ringraziò rinfacciandogli il campionato vinto dall'Inter nel 2009: "Abbiamo perso lo scudetto per colpa sua".

Massimiliano Allegri
Massimiliano AllegriAFP

L'ultimo a regalargli la Serie A fu Massimiliano Allegri (2010-2014) che, però, non entrò mai nelle sue grazie. A tal punto che, durante un evento elettorale nel padovano, Berlusconi lo condanno all'oblio con un "no el capisse un casso" che non ha bisogno certo di essere tradotto dal veneto all'italiano. Lo stesso trattamento era stato riservato ad Alberto Zaccheroni (1998-2001) al quale non riconobbe mai i meriti della rimonta centrata nel 1999 che valse uno scudetto: "Il sarto distratto può rovinare una buona stoffa". La sua colpa era stata quello di smentirlo in pubblico: "Berlusconi aveva detto sempre che la Lazio avrebbe vinto quello Scudetto e quando gli chiesero perché il Milan aveva vinto, rispose che era merito suo che mi aveva suggerito di schierare Boban. Io, il giorno dopo smentii quelle parole e lì qualcosa si ruppe tra noi".

Tra i disamori, invece, ci sono il Maestro Oscar Tabarez ("sembra un cantante di Sanremo"), l'Imperatore Fatih Terim ("deve fare solo una cosa: far giocare Rui Costa, Shevchenko e Inzaghi") e Leonardo, mentre fanno parte di una categoria minore - quella dei milanisti su cui, in realtà, non avrebbe mai scommesso un penny nemmeno lui - Cristian Brocchi (2016), SuperPippo Inzaghi (2014-2015) a Clarence Seedorf che andò via sbattendo la porta: "Non parlo più del presidente. Sono allenatore da 3 mesi, ma sono nel calcio da 22 anni e merito rispetto. Parla bene di Montella? Chiedete a lui il perché". E fu proprio l'aeroplanino (2016-2017) a vincere l'ultimo trofeo dell'era Berlusconi (il numero 29): la settima Supercoppa italiana, battendo in finale la Juve. Dalla simpatia iniziale ("Montella mi sembra che abbia fatto bene alla Fiorentina finora e personalmente mi è molto simpatico"), però, alle lezioni di tattica, il passo fu breve: "Montella? È bravo, ma abbiamo idee diverse soprattutto sullo schema tattico: sono convinto che il modulo che ci ha portato a vincere per quasi trent'anni prevede le due punte e una mezz'ala dietro. Le due ali di ruolo, dotate di buon tiro, devono essere più centrali".

Con Nils Liedholm e Sinisa Mihajlovic, invece, non ci fu mai né amore né simpatia: "Mai visto giocare il Milan così male", ebbe a dire il presidentissimo durnate l'era Sinisa. Il tecnico serbo, però, era un tipo tutto d'un pezzo, ragion per cui non si faceva problemi a sbandierare ai quattro venti che "Berlusconi parla di calcio, ma col mio permesso". Ancora più duro, invece, il commento del mito svedese quando gli fecero notare che il suo nuovo presidente andava dicendo che capiva di calcio: "Sì, è molto bravo, capisce di calcio. È stato allenatore dell'Edilnord". La sua grande colpa, in fondo, era solo quella di non essere stato scelto a dito da lui. Berlusconi lo aveva, infatti, ereditato dal presidente Farina, ma appena ne ebbe l'occasione lo mandò via per portare Sacchi a Milanello con l'obiettivo di costruire il Milan più forte di sempre e una delle squadre più leggendarie della storia del calcio. Ci riuscì.