Dalla Juve alla Lazio, Maurizio e il coraggio di essere Sarri

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Dalla Juve alla Lazio, Maurizio e il coraggio di essere Sarri

Maurizio Sarri con Cristiano Ronaldo
Maurizio Sarri con Cristiano RonaldoProfimedia
La sensazione che si ha quando si pensa alla sua esperienza in bianconero è che a un allenatore che si era sempre caratterizzato per il suo forte carattere e le sue idee chiare, al limite del giacobinismo, siano improvvisamente venuti meno sia il carattere che le idee

"Se avete vinto con me allora siete forti". Tra il serio e il faceto, subito dopo aver conquistato lo Scudetto, Maurizio Sarri si complimentò in questi termini con i propri calciatori. È bene ricordare, infatti, che l'ultimo titolo di Serie A della Juventus è quello vinto nel 2020 dalla squadra allenata dall'attuale tecnico della Lazio.

Eppure, la stagione dell'allenatore toscano a Torino è ricordata come un vero e proprio fallimento sia dai tifosi bianconeri che dallo stesso Sarri, fortemente voluto da Andrea Agnelli, che lo strappò al Chelsea non tanto con l'obiettivo di vincere l'ennesimo scudetto, quanto per dare alla squadra un'identità di gioco più offensiva ed europea.

Individuare le ragioni del fallimento non è semplice, sebbene Gigi Buffon, in recenti dichiarazioni alla Bobo TV, abbia dato una mano a capirne di più: "Io so cosa non ha funzionato! Purtroppo alcune volte per difendere le scelte bisogna inimicarsi qualcuno…. Secondo me il mister è stato quasi subito, per come si è proposto, lasciato alla mercé dei risultati. Io con lui mi sento ancora adesso, ho un bellissimo ricordo, ho cercato di dargli una mano nel mio piccolo. Qualcosina non ha funzionato, ma poteva funzionare".

Un po' come a dire che Sarri non è stato né l'unico né il principale responsabile. Con chi si sarebbe dovuto inimicare? Probabilmente con qualche senatore che non accettava di buon grado di doversi sacrificare per il bene della squadra come, invece, esige il sarrismo. E, allo stesso modo, da chi è stato lasciato alla mercé dei risultati? Sicuramente da una dirigenza in evidente stato confusionale - i recenti guai giudiziari della Juve sono figli delle scelte sbagliate di quegli anni - convinta che Sarri sarebbe arrivato a Torino con la bacchetta magica e avrebbe trasformato il brutto, ma vincente, anatroccolo di Massimiliano Allegri nel bel cigno della favola.

E, invece, no. Ma Sarri, sia chiaro, non è esente da colpe. Anzi. La sensazione che si ha quando si pensa alla sua esperienza alla Juventus è che a un allenatore che si era sempre caratterizzato per il suo forte carattere e le sue idee chiare, al limite del giacobinismo, siano improvvivamente venuti meno sia il carattere che le idee: "Sarei un pazzo a chiedere chi comprarmi alla Juve".

Eppure era proprio quello che avrebbe dovuto fare. Insistendo fino allo sfinimento anche perché aveva capito presto che le cose stavano cominciando a mettersi per il verso sbagliato: "A settembre-ottobre avevo capito che non saremmo andati lontano. Allora ho riunito i miei collaboratori per decidere se farci cacciare subito o arrivare in fondo per provare a vincere".

Decisero, tutti assieme, di restare. E sbagliarono. Non perché rimasero, ma perché non fecero capire che la loro ricetta aveva bisogno di ingredienti precisi. Anzi, paradossalmente, lo stesso Sarri si convinse che il problema fosse lui: "Per il mio modo di fare calcio dovrei cambiare quasi tutta la squadra, ma questi giocatori hanno vinto molto e allora sono io che devo adeguarmi a loro".

Errore grossolano per un allenatore esperto come lui che, forse, si era convinto che così come lui aveva sostituito la tuta con la giacca e cravatta, anche i suoi calciatori avrebbero potuto imparare subito a interpretare un tipo di calcio del quale, sino a quel momento, non avevano mai sentito parlare. E chissà, probabilmente, ci sarebbero pure risuciti: "Sono arrabbiato per l’eliminazione, ma pronto per la prossima stagione".

Quell'eliminazione (contro il Lione in Champions League) gli costò, però, la panchina e nella stagione successiva, Sarri decise di guardare il pallone in tv, con l'obiettivo di disintossicarsi e recuperare i propri tratti distintivi. Missione compiuta solo a metà, sebbene in questo caso non si possa parlare di fallimento perché la sua Lazio è la sintesi perfetta del sarrismo pre e post Juve. Una squadra dove i calciatori sono al servizio della squadra e, grande novità, viceversa.