L’estate del 2016 rimane uno dei periodi più incandescenti del calcio italiano, un periodo storico capace di spaccare in due un Paese e di riscrivere per sempre il rapporto tra una città, il suo idolo e la sua rivale più antica. Il trasferimento di Gonzalo Higuaín dal Napoli alla Juventus non fu soltanto un affare da 90 milioni di euro: fu una rottura emotiva, un evento che si è impresso nella memoria collettiva dei napoletani come poche altre pagine moderne del pallone.
Higuaín arrivava da una stagione irripetibile, quella delle 36 reti in una stagione di Serie A che gli avevano permesso di superare il record di Nordahl, rimasto intatto per oltre mezzo secolo. A Napoli era diventato molto più di un centravanti: era un simbolo, un manifesto vivente di un progetto che sembrava pronto a prendersi il palcoscenico nazionale e a giocarsela finalmente ad armi pari con le grandi.
Eppure proprio quella grandezza, quel record che lo aveva consacrato nell’Olimpo del calcio italiano, si trasformò lentamente in un peso, in un segnale chiaro: più il Pipita segnava, più diventava difficile trattenerlo dentro i confini di un progetto che stentava a equalizzare le sue ambizioni.
La rottura con De Laurentiis e il venerdì di fuoco: la trattativa segreta
La rottura con Aurelio De Laurentiis prese forma con gradualità, ma con una chiarezza che a posteriori appare inevitabile. Il rinnovo era un tema centrale, ma il club azzurro non riusciva ad avvicinarsi ai parametri richiesti dal bomber argentino. E Higuaín, nella seconda parte della stagione, sembrò respirare un’aria sempre più stretta, come se il suo ciclo fosse arrivato al capolinea. A quel punto la Juventus entrò in scena con la freddezza di un predatore silenzioso.
La gestione dell’operazione sembrò uscita da un copione cinematografico. Il 22 luglio 2016, mentre la Serie A presentava il nuovo calendario e l’assenza dei dirigenti bianconeri sollevava più di un sospetto, Marotta e Paratici erano già a Madrid per chiudere un affare che stava per scuotere l’intero panorama calcistico italiano.
L’accordo con Higuaín era stato raggiunto: un quadriennale da 7 milioni a stagione, ricchi bonus, un ruolo centrale nel nuovo progetto bianconero che puntava senza mezzi termini alla Champions League. Restava solo la parte più delicata: firma e pagamento della clausola.
Il Napoli aveva rifiutato ogni contropartita tecnica, così la Juventus decise di versare l’intera somma della clausola rescissoria in due tranche. Il blitz madrileno fu tenuto nascosto con cura estrema: mentre in Italia si discuteva di calendario, Higuaín si sottoponeva alle visite mediche lontano da sguardi indiscreti. Ore di attese, verifiche, telefonate. Poi, finalmente, l’ufficialità.
E con quelle firme, una pagina intera del calcio italiano veniva definitivamente riscritta: la Juventus portava a casa il colpo più costoso della propria storia (prima dell'arrivo di CR7 nel 2018), il Napoli perdeva uno dei suoi bomber più amati, e Higuaín diventava il protagonista indiscusso del tradimento più commentato del decennio.
"Core n'grato"
A Napoli, la reazione fu immediata e furiosa. Un idolo si trasformò in una notte nell’antagonista perfetto. Il termine “core ’ngrato”, riportato alla memoria dal precedente illustre di José Altafini - che nel 1972, dopo 7 stagioni in azzurro, passò alla Juventus e segnò contro il Napoli il gol che assegnò lo Scudetto ai bianconeri - tornò a riecheggiare come un marchio di condanna sportiva.
Higuaín sembrava seguire quel copione con drammatica precisione, e quando tornò al San Paolo con la maglia bianconera, l’atmosfera era quella delle grandi tragedie calcistiche: una città sospesa tra ciò che aveva perduto e ciò che non avrebbe mai più ritrovato. Il gol - il secondo da ex dopo quello segnato allo Stadium - arrivò, inevitabile come un verdetto, e con esso il gesto che rese quel ritorno ancora più feroce: l’“Es tu culpa!” rivolto a De Laurentiis, il dito puntato verso il presidente, la frattura resa definitiva davanti a un intero stadio.
Ma il filo teso tra Napoli e Juventus non si è mai esaurito. Anzi, negli ultimi mesi si è arricchito di un capitolo sorprendente e doloroso: quello di Luciano Spalletti. L’uomo del terzo Scudetto, l’architetto di una stagione irripetibile, colui che si era tatuato sulla pelle il tricolore come promessa d’amore eterno, aveva giurato di non sedersi più su una panchina di Serie A per rispetto della piazza partenopea. Una promessa che sembrava scolpita nella roccia.
E invece, dopo l’esonero di Tudor, è bastata una chiamata della Juventus per cambiare tutto. Spalletti ha detto sì, aprendo un’altra ferita nell’orgoglio napoletano. Un nuovo “core ’ngrato” da aggiungere alla lista. E adesso, proprio come accadde per Higuaín, Spalletti tornerà a Napoli per sfidare il suo passato: l’accoglienza sarà un capitolo tutto da scrivere.

Il caso Higuaín, tuttavia, rimane unico. È il racconto di come uno dei centravanti più forti della sua epoca sia diventato l’ultimo grande pomo della discordia tra Napoli e Juventus. Ancora oggi, il ricordo di quell’estate continua a pulsare come una pagina che non si è mai davvero chiusa.
