Non bisogna essere tifosi del Manchester City per sperare che Pep Guardiola e Erling Haaland riescano a dare, assieme, il meglio di loro. Anzi, anche chi non ha, comprensibilmente, a cuore le sorti dei cosiddetti club-Stato, se ama il calcio non può davvero non essere curioso di vedere cosa possa venir fuori dalla massima espressione del connubbio tra il più grande teorico tra gli allenatori moderni e il più devastante pragmatico tra i calciatori.
La mente e il braccio. Proprio come ai tempi blaugrana, quando al centro dell'attacco del suo Barcellona, senza dubbio la squadra più bella vista negli ultimi 30 anni, c'era un certo Lionel Messi. Rispetto ad allora c'è una piccola grande differenza che riguarda il punto di partenza in campo dei due campioni. La Pulga preferiva dominare il mondo partendo dalla fascia destra, il Vichingo, invece, ha un'attrazione fatale per l'area di rigore.
E, d'altronde, con un fiuto del gol come il suo sarebbe quasi criminale pensare e agire in maniera diversa. A meno che non ti chiami Pep Guardiola. E già, perché non esiste in circolazione un altro allenatore in grado di immaginare (e provare a farlo) di poter cambiare la posizione e il tipo di gioco di Haaland.
Eppure, succedeva la stessa con Messi. Nessuno si sarebbe mai sosgnato di spostarlo dalla sua mattonella. E, invece, l'intuizione che Pep ebbe assieme a Tito Vilanova ha finito per regalare al calcio uno dei migliori tre calciatori della propria storia. Da falso nueve, infatti, il crack rosarino segnò i gol che nemmeno lui avrebbe mai potuto immaginare di poter realizzare.
Ed è proprio utilizzando il modello Messi che Guardiola sta provando a convincere Haaland che con qualche piccolo accorgimento potrebbe diventare ancor più decisivo: "Un giocatore non deve solo segnare. Ovviamente per un attaccante è la cosa principale, ma abbiamo bisogno anche di altro. Abbiamo bisogno che sia coinvolto, attivo. Su questo dobbiamo e deve migliorare".
"Dobbiamo e deve". Ebbene sì, Pep si è accorto di avere tra le mani un vero e proprio fenomeno e se per farlo rendere al massimo sarà costretto a rinunciare in parte alla propria filosofia, è pronto a farlo: "Contro il Lipsia dovremo cercare di imporre il nostro gioco e vincere la partita. Non conta segnare tanti gol, dobbiamo solo vincere".
Il tecnico catalano, uno che non ha mai avuto una grande predilezione per i centravanti puri, ha capito che per imporre la propria idea di gioco nel vecchio continente, dodici anni dopo l'ultimo trionfo in Champions, ha un disperato bisogno della collaborazione e dei gol del proprio ariete norvegese.
"La mia avventura al Manchester City sarà giudicata dalla vittoria di questa competizione, lo so bene sin dal primo momento, dalla prima partita. Questo non significa che io sia d'accordo". No, non è d'accordo, ma è abbastanza ambizioso per capire che è arrivato il momento di rivincere quello che è il trofeo più importante al mondo per un allenatore di club e, allo stesso tempo, è abbastanza intelligente da aver capito che l'unico modo per far trionfare di nuovo la sua filosofia è quella di metterla - almeno in parte - al servizio di un centravanti. Vero e non falso.