Mondiali, Martino, il fuoco amico sull'Argentina

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Mondiali, Martino, il fuoco amico sull'Argentina
Gerardo Martino e Lionel Messi
Gerardo Martino e Lionel MessiAFP
L'attuale tecnico del Messico sfida oggi la nazionale del suo paese, che guidò per due anni, e soprattutto quel Lionel Messi con il quale ha condiviso un'esperienza enigmatica al Barcellona

Il destino beffardo è sempre dietro l'angolo. Anche perché il mondo è piccolo, e quello del pallone ancora di più. Ed è un mondo che, racchiuso nel fazzoletto pieno di sabbia del deserto del Qatar vede al suo interno consumarsi una sfida tra un argentino e il suo paese. Tra quel Gerardo Martino (60) che dopo una carriera da calciatore e allenatore di tutto rispetto, vive oggi la sua partita più emozionante.

Lui, che dall'estate del 2014 a quella del 2016 ha guidato l'Argentina, raccogliendo le delusioni di due Coppa America perse in finale contro il Cile. Lui che per la sua indole bonacciona ed eccessivamente educata è stato sempre etichettato come troppo mite per poter dare la mentalità vincente alla Selección. Lui che per un anno ha allenato Lionel Messi (35), che dopo averlo idolatrato come simbolo del Newell's Old Boys campione d'Argentina non lo degnò di particolari attenzioni al Barcellona. Proprio lui, stasera, guiderà il Messico a una contesa che già vale tantissimo. Una contesa che potrebbe appiedare anzitempo la sua Argentina dal Mondiale.

Un condottiero pacato

Nato a Rosario, la città dove il calcio si vive con una frequenza cardiaca due volte superiore alla norma, Martino è una delle icone della città che ha dato i natali a Ernesto Guevara e allo stesso Messi. Il suo carattere pacato ma deciso, fatto di quella timidezza che è un misto tra i suoi due illustri concittadini, non gli ha mai permesso di spiccare come il grande timoniere che predicasse 'huevo', ossia attributi. Martino è un leader decoroso, che non ha mai cercato arabeschi ma una gestione attenta e sapiente, cosciente soprattutto di quali fossero i propri limiti.

E con dei limiti enormi a livello di qualità fu capace nel 2011 di portare il Paraguay a una finale di Coppa America, persa poi contro l'Uruguay al Monumental di Buenos Aires. Due anni dopo sarebbe tornato nella sua Rosario natale per guidare il suo Ñuls all'ultimo trionfo in campionato, in quello stadio Marcelo Bielsa nel quale una delle gradinate porta il suo nome. Quella squadra aveva in rosa un guerriero come Gabriel Heinze (44) e un'icona come Maxi Rodriguez (41), autore tra l'altro proprio di uno storico gol con l'Argentina contro il Messico che permise all'Albiceleste di guadagnare l'accesso ai quarti ai Mondiali di Germania 2006.

Dal Barcellona alla Selección

Le sue capacità di farsi ascoltare e comprendere da due giocatori come Heinze e Rodriguez, oltre a quella di organizzare un buon calcio quando messo nelle giuste condizioni, lo portarono addirittura a occupare la panchina del Barcellona l'anno dopo. Era un periodo di transizione al Camp Nou, con il povero Tito Vilanova malato terminale e una squadra nella quale un giovanissimo Neymar (30) doveva ancora entrare nell'ordine d'idee del calcio europeo.

In quella tappa, tuttavia, i risultati furono miseri, anche per colpa di uno spogliatoio sempre più autogestito. Celebre la frase attribuita a Martino, che rivoltosi a Messi disse: "So che lei mi può far licenziare quando preferisce, ma non è il caso di ricordarmelo ogni volta". Con il numero 10 argentino il Tata avrebbe poi lavorato di nuovo, stavolta come allenatore della Selección, affidandogli le chiavi della squadra e provando a dare al calciatore l'ecosistema perfetto che Luis Enrique (52) aveva creato al Camp Nou. Ma a quell'Argentina mancavano Neymar e Luis Suarez (35), e le due finali perse col Cile ai rigori bruciarono la corda nelle mani del tecnico.

Oggi, lo stesso allenatore che da commissario tecnico è stato poco compreso in patria si appresta a sfidare la sua amata Argentina e quel Messi con il quale c'è sempre stato un rapporto di reciproco rispetto ma anche di mutua distanza. Con in mano poche risorse su una panchina di un Messico piuttosto mediocre, al Tata toccherà vivere la serata più intensa della sua vita. Una serata nella quale il cervello lo spingerà alla vittoria, sebbene il cuore possa cercare di dissuaderlo dall'intento.