Domenica 9 marzo, la Juventus si è tirata ufficialmente fuori dalla lotta scudetto per il campionato 2024/2025. A dir la verità è stata buttata fuori a calci dall'Atalanta che quest'anno punta al bersaglio grosso e l'ha fatto capire all'Allianz: quattro calcioni che restano il passivo più pesante in casa registrato dall'1-7 del 1951 contro il Milan e a pari merito con lo 0-4, per la verità un derby, del 1967 contro il Torino.
Più che una delusione, si tratta di un vero e proprio affronto alla storia bianconera, che porta la firma di Thiago Motta. Ci finirà lui infatti negli annali quando si ricorderanno i passivi casalinghi più pesanti della Vecchia Signora. Superati in questo tecnici che hanno lasciato il segno in negativo a Torino come Maifredi o un Ferrara o un Pirlo alle prime armi. Qualcosa che insomma resterà impresso a lungo nella memoria dei tifosi.
Una testa "non da Juve"
Al tecnico italo-brasiliano però sembra non pesare più di tanto, visto che nelle dichiarazioni post partita ha fatto i complimenti all'Atalanta di Gasperini e se ne è uscito con una frase che a Torino non si può sentire, e cioè che "almeno non si parlerà più di scudetto". Come se si trattasse di un peso insopportabile per il club più titolato d'Italia.
E qui arriviamo alla prima considerazione: Thiago Motta forse non ha capito dove si trova, e magari la colpa è anche della società che non riesce a farglielo capire e farglielo pesare adeguatamente. Vecchi dirigenti, da Boniperti alla "famigerata" triade, non avrebbero neanche tollerato certe dichiarazioni, e come minimo gli avrebbero dato una strigliata il giorno dopo, ma probabilmente avrebbero già chiamato gli avvocati per quantificare la buonuscita.

La scusa presa dall'allenatore in conferenza stampa è che la squadra è giovane, quindi si è demoralizzata dopo la prima rete subita su rigore. Questa dichiarazione è, se possibile, ancora peggiore. E non solo perché arriva in una giornata di campionato che ha visto le milanesi andare a vincere rimontando due gol, a dimostrazione che non è impresa titanica, è proprio la scusa della gioventù che non tiene.
Prima di tutto perché se in Italia può essere un'eccezione, in Europa ci sono grandi squadre che giocano con "pischelli" di 17 anni come il Barcellona con Lamine Yamal e Pau Cubarsi, o che sono guidate da 21enni e 22enni come Jude Bellingham, nel caso del Real Madrid, o Jamal Musiala in quello del Bayern Monaco, quindi la questione età conta relativamente quando c'è il talento. I giovani hanno poi carte in più in questo caso, la spavalderia e la foga che li porta magari a sbagliare ma a bruciare l'erba, e non è questo il caso. La squadra vista contro l'Atalanta sembrava una formazione da dopolavoro ferroviario, lenta e apatica.
Non è quindi questione di gioventù, ma di carattere, di atteggiamento mentale. E l'atteggiamento mentale in campo è fondamentale, specie nei big match. Specie in una partita che contava quanto una stagione, visto che nelle ultime settimane c'era stata l'uscita dalle coppe.
Un gioco inesistente
Se poi analizziamo il lavoro di Motta su un piano tattico i dubbi aumentano. Dopo sette mesi non si vede un gioco, o non si capisce bene quale sarebbe. La difesa che aveva retto bene all'inizio si è sgretolata, ogni palla recuperata sulla trequarti dagli avversari diventa un'occasione da gol perché manca completamente il filtro difensivo. L'Atalanta in più occasioni ieri, come ad esempio alla fine del primo tempo, si passava la palla in area con una facilità inaudita senza trovare ostacoli, se non qualche gamba fortuita al momento della conclusione. La trappola del fuorigioco è infatti inesistente.

In avanti poche idee e confuse, anche perché contro una squadra che si chiude la Juventus fatica tantissimo a creare occasioni, facendo girare la palla troppo lentamente per aprire varchi. Lo dimostra il 63% di possesso palla con un misero 0,75 di xG, contro il 37% di possesso palla dell'Atalanta con un 3,76 di xG. Ai ragazzi di Gasperini è infatti bastato pressare per recuperare palla e trovare praterie, e poi rinculare aspettando il momento propizio, cioè la puntuale palla persa dai bianconeri. Ieri emblematiche quelle di Kelly per il secondo gol dei bergamaschi e soprattutto quella di Vlahovic per il quarto, con un goffo scivolone degno di "Mai dire gol" al momento di passare la palla. Ma tutti, a cominciare dal metronomo Locatelli, sono stati parecchio imprecisi negli appoggi.
Scelte illogiche e pertanto incomprensibili
Sempre restando sul piano tattico, un argomento su cui si potrebbe scrivere un trattato di un centinaio di cartelle in realtà, alcune scelte appaiono incomprensibili e ci piacerebbe tanto che Motta le spiegasse. Non stiamo parlando della posizione del Godot Koopmeiners, ad oggi un vero e proprio corpo estraneo a centrocampo, dell'accantonamento di Vlahovic o dell'assurda avventura a Torino di Douglas Luiz, tra mille piccoli infortuni, proprio lui che all'Aston Villa non aveva un acciaccio e nella prima parte dello scorso anno per rendimento era stato uno dei centrocampisti migliori della Premier League.

No, stiamo parlando di un aspetto più banale: delle posizioni di Kenan Yildiz e Nico Gonzalez, ieri tra l'altro tra i peggiori in campo in assoluto, se non i peggiori. E questo è un interrogativo che non trova pace nella dimensione del raziocinio: perché il turco, che in carriera ha sempre giocato sulla fascia sinistra, e l'argentino, che ha fatto altrettanto sulla fascia destra, dovendo giocare insieme sono costretti a invertirsi le fasce quando potrebbero semplicemente giocare nelle loro posizioni naturali? E I risultati di questa scelta cervellotica sono sembrati emblematici, soprattutto nel caso dell'ex viola, che forse non si è ambientato, non andrà bene per questo gioco, ma provarlo una volta nella sua posizione naturale magari lo aiuterebbe. In sintesi: perché complicargli la vita?
Un fallimento certificato sul campo e non solo
Sono tante le cose che non tornano in questo primo anno di Motta a Torino, un'esperienza fallimentare sotto ogni punto di vista, anche quello dello spogliatoio sembrerebbe, vista la scarsa voglia con cui è entrato in campo Vlahovic e la celerità con la quale si è invece infilato negli spogliatoi al termine del match mentre i compagni andavano con qualche titubanza sotto la curva svuotata a prendersi qualche insulto nel saluto di rito.
Non tira una bell'aria a Torino. Non tira in campo e non tira nello spogliatoio, mentre in panchina il clima è diventato torrido.
