Lautaro Martínez non è nuovo alle fasi a corrente alternata. La sua storia all’Inter è un susseguirsi di accelerazioni improvvise e rallentamenti che sembrano preludere a una crisi, salvo poi dissolversi con un gol decisivo nel momento in cui la squadra ne ha più bisogno.
Questa volta, però, la percezione attorno al capitano nerazzurro è diversa: il Toro sembra accusare di più, reagisce con meno lucidità e sente con maggior peso le situazioni che in passato erano parte integrante del suo percorso.
La domanda, dunque, si impone: perché proprio ora? Da cosa nasce questa frenata, non disastrosa ma evidente, che ha acceso dubbi e analisi anche dentro l’ambiente nerazzurro?
Chivu non è Inzaghi, Esposito e Bonny non sono Taremi e Arnautovic
Gran parte del discorso ruota attorno al nuovo approccio tattico di Chivu. Lautaro ha sempre mostrato una qualità rara: adattarsi ai diversi sistemi senza perdere centralità. Ma il gioco del tecnico rumeno è diverso da quello di Inzaghi.
Non è più il fulcro intoccabile dell’attacco, non ha più la certezza di 90 minuti garantiti per entrare in ritmo, e deve muoversi più spesso senza palla, uscire dall’area, legare con i compagni, aprire spazi e creare varchi. L’attacco è diventato più “democratico”, con rotazioni continue e compiti distribuiti. Un cambiamento che incide, soprattutto per un giocatore abituato a una centralità assoluta e a responsabilità offensive più dirette.
A giocare a sfavore del capitano c’è poi il ricambio nel reparto offensivo. Non ci sono più Correa, Arnautovic e Taremi, spesso a mezzo servizio e poco incisivi; quest’anno l’Inter può contare su Bonny ed Esposito, due giovani affamati che meritano spazio per ciò che portano sul terreno di gioco. E così arrivano le sostituzioni, scelte tecniche che, pur corrette, hanno un peso diverso per un giocatore abituato a essere l’immagine della squadra.

Pressione del Mondiale? Dinamiche interne?
C’è poi la componente mentale. Il Mondiale, pur lontano, aleggia costantemente nella mente di un titolare della Selección. Dopo aver guidato la squadra nelle qualificazioni, Lautaro sente il dovere di arrivare alla prossima rassegna da vero leader. Quando la pressione arriva prima ancora del primo raduno, ogni flessione assume contorni più pesanti. La paura di arrivare “scarico”, fuori forma o in discussione per un posto da titolare, è un’ombra che incide inevitabilmente sull’istinto, sulla scioltezza nelle giocate, sulla serenità mentale.
Non mancano poi le dinamiche interne. Non ci sono fratture dichiarate né tensioni esplose, ma in estate, con la polemica a distanza con Çalhanoğlu e qualche malumore non troppo velato in ritiro, Lautaro ha scoperto cosa significa essere capitano anche fuori dal campo. La leadership non è più solo carisma e gol: richiede mediazione, responsabilità, gestione dei rapporti con compagni e staff. Un ruolo che pesa e influenza il comportamento in campo, soprattutto quando i risultati non aiutano a stemperare la pressione.
Il recente episodio delle due sostituzioni in quattro giorni ha messo in luce un altro aspetto: per la prima volta in cinque anni Lautaro percepisce che la squadra può concludere una partita anche senza di lui. Non si tratta di punizione, ma di scelta tecnico-tattica. Chivu è diretto, pretende freschezza mentale e fisica, e non guarda ai nomi. È una rivoluzione che tocca nel profondo anche il capitano, abituato a essere immagine e ritmo dell’Inter.
Il rendimento offensivo ne risente. Lautaro non è un attaccante che vive di freddezza chirurgica: è impeto, intensità, ripetizione. Quando la mente è sgombra, il gol arriva quasi naturalmente. Quando sente troppi pesi, si irrigidisce nei momenti decisivi. Gli ultimi errori sotto porta, piccoli ma insoliti, raccontano di un giocatore che oggi gioca più pensando che agendo di istinto, e questo limita la sua efficacia naturale.
Il calo stagionale: il Toro conosce già queste pause
Non è certo la prima volta che Lautaro attraversa periodi di flessione. Nella stagione 2024/2025, ad esempio, segnò un solo gol nella fase a gironi di Champions League, contro la Stella Rossa (1 ottobre), prima di attraversare un digiuno di sette giornate di Serie A tra il 3 novembre e il 28 dicembre. Per ritrovare la rete in Europa, dovette aspettare il 22 gennaio.
Quest’anno, la situazione è simile: dalla sesta all’undicesima giornata di campionato il capitano non ha trovato la via del gol, con l’ultimo sigillo datato 9 novembre contro la Lazio. Complessivamente, ha messo a segno quattro reti in Champions e altrettante nelle prime dodici giornate di Serie A, numeri paragonabili a quelli dello scorso anno, quando a questa stessa data aveva segnato cinque volte in campionato e una in Europa.

In altre parole, nulla di straordinariamente preoccupante: è il consueto calo stagionale che ha sempre preceduto le sue esplosioni offensive.
La differenza, questa volta, è la cornice attorno a lui: nuovo allenatore, nuovo sistema, distribuzione delle responsabilità e pressione internazionale rendono questa fase più visibile e discussa. La verità resta semplice, l’Inter senza Lautaro non è la stessa. Lautaro senza un’Inter che ruota intorno a lui perde qualcosa.
Ma una cosa è certa: questa storia non si chiude con due sostituzioni o qualche smorfia contrariata. È solo un momento, destinato a evolversi, come sempre è accaduto nella carriera del Toro.
