Una sponda, poi un'altra, sempre prendendo in considerazione il movimento del compagno. Il lavoro effettuato ieri sera da Mateo Retegui nella rocambolesca vittoria per 5-4 dell'Italia su Israele ha mostrato a tutti quanto l'oriundo argentino sia funzionale alla manovra. Molto più del previsto. Ma non solo: perché lui e Moise Kean hanno dato prova di un feeling quasi innato, che sicuramente sarà stato consolidato in allenamento ma che è esploso definitivamente a Debrecen, dove l'ex Atalanta ha funto da ponte nella via del gol del viola.
Un'associazione del gol che ha permesso agli azzurri di evitare una figuraccia contro i mediorientali, apparsi quasi sempre più vispi e ispirati, e che adesso può essere effettivamente il traino per potere andare ancora incontro all'obiettivo minimo, la qualificazione ai Mondiali 2026.
Liberarsi a vicenda
In disuso da quasi quarant'anni, l'alternativa tattica di utilizzare due punte classiche insieme è stata rispolverata da Gennaro Gattuso, che aveva capito di dover dare una scossa al suo attacco. Ma, soprattutto, era consapevole di dover tirar fuori il meglio da due goleador che, nonostante i moderni dogmi, non potevano venir dosati come attaccanti qualunque. Nelle due goleade azzurre, fatte di dieci gol totali, Retegui ha accumulato due reti e quattro assist, tre dei quali per lo stesso Kean, che a sua volta ha siglato tre gol totali.
Attendendo avversari più qualificati di Estonia e Israele, sembra chiaro che i due hanno dimostrato di avere una certa compatibilità. Anche perché va ricordato che il piemontese ha giocato a volte ala nel Paris Saint Germain e, grazie al suo importante dominio della palla in corsa, capace di disimpegnarsi splendidamente anche come seconda punta. I due, in fin dei conti, si liberano l'un l'altro. E questo, per una squadra che in mezzo al campo dispone di metronomi di qualità e quantità, è un gran privilegio.

Futuro
Visto il successo dell'esperimento, è dunque possibile che i due diventino ufficialmente un'arma sulla quale Gattuso punterà con decisione. I tempi di Graziani e Rossi o di Schillaci e Vialli sono lontani, così come i paragoni con questi nomi che hanno fatto la storia per il momento fanno storcere il naso. Ma l'Italia non è più la potenza calcistica di 40 o 30 anni fa, e adesso tocca remare per ritrovare una partecipazione mondiale che manca da 11 anni.
E se l'unico vero giocatore top a disposizione di Gattuso è Gianluigi Donnarumma, con Sandro Tonali e Nicolò Barella che provano a ruggire in mediana, i dioscuri azzurri sono chiamati a vogare più forte degli altri. Un figlio di immigrati e un oriundo, a riprova del fatto che oggi gli azzurri sono finalmente multiculturali.

Il moto perpetuo del primo è stato evidente quando è mancato, ossia nei minuti finali in cui gli azzurri non hanno retto, venendo salvati solo da un enorme Tonali. La sapienza tattica del secondo, invece, è stata culminata da giocate tecniche come il colpo di tacco per il gol del momentaneo 2-3 di Politano.
I due parlano la stessa lingua, quella del gol, ma sanno comporre strofe complementari che non stonano tra loro. A loro il compito di intonare, improvvisando ma non troppo, la sintonia definitiva. Quella Mondiale.