Quinta e ottava, rispettivamente, a 14 e 19 punti dalla vetta. Juventus-Milan è una di quelle sfide che non perderà mai il proprio fascino sebbene, in questo preciso momento, questo fascino abbia a che vedere più con il passato che non con il presente. Prova ne sia che il big match della 21esima giornata, classifica alla mano, è quello che si giocherà sabato sera a Bergamo, dove l'Atalanta, terza, riceve la visita del Napoli capolista.
Non è un caso, infatti, che l'incontro tra gli uomini di Gian Piero Gasperini e quelli di Antonio Conte sia stato messo in programma nel prime time, alle 20.45, l'ora di maggiore audience, mentre quello tra i bianconeri e i rossoneri si giocherà un paio di ore prima allo Stadium.

Sono lontani i tempi in cui la Vecchia Signora e il Diavolo si scambiavano con una certa regolarità lo scettro di squadra più potente d'Italia e, talvolta, d'Europa. In questo senso gli anni Ottanta rappresentano, senza ombra di dubbio, la genesi di questa sorta di staffetta ai vertici: dalla Juve di Trapattoni al Milan di Sacchi, prima, e Capello, poi, spodestato dai bianconeri di Lippi arrivati, a loro volta, alla fine del proprio ciclo perdendo la finale di Champions League contro i rossoneri di Ancelotti.
Quasi vent'anni di trionfi condivisi e con un unico comune denominatore: la leadership, più o meno diretta, di due degli uomini più potenti della storia recente del nostro Paese: Gianni Agnelli e Silvio Berlusconi.
Totò e Peppino
Non è un segreto per nessuno che l'Avvocato sia stato uno dei personaggi a cui il Cavaliere si sia ispirato nella sua vertiginosa arrampicata verso la cima del calcio e della politica italiani. Ad ammetterlo è stato il fedele braccio destro dell'ex primo ministro.
In un'intervista al Corriere della Sera, infatti, Adriano Galliani ha ricordato la genesi del loro sodalizio. Era il capodanno del 1986: "Sono in vacanza nella villa del presidente a St. Moritz, con Confalonieri e Dell’Utri. Fa un freddo tremendo, usciamo imbacuccati per andare a prendere l’aperitivo al Palace e incrociamo il clan Agnelli: l’Avvocato con la camicia aperta, Montezemolo con il ciuffo, Jas Gawronski elegantissimo, forse Malagò. Al confronto noi sembravamo Totò e Peppino", il racconto dello storico amministratore delegato rossonero.

Ebbene, quell'incontro fece capire a Berlusconi in che modo avrebbe potuto accelerare la propria scalata sociale: "Condividiamo il tavolo. Alla fine Berlusconi ci dice: 'Potremo fare anche noi grandi cose, ma non saremo mai come loro. Ci mancano venti centimetri di statura e il coraggio di esporre il petto villoso sottozero'. Qualche giorno dopo ci propose di prendere il Milan".
Da Platini a Shevchenko
Il resto è storia del calcio italiano. Tanti titoli e altrettanti campioni: da Platini e Boniek si passò ai tre olandesi, al genio di Savicevic e al Pinturicchio del pallone, Del Piero. L'epoca d'oro del calcio italiano si sarebbe chiusa soltanto all'inizio del nuovo millennio all'Old Trafford, sede della finale della Champions League del 2003.
Il Milan, che aveva sconfitto l'Inter in semifinale, superò la Juventus ai calci di rigore. Decisivo il penalty traformato da Shevchenko che, privò, Gigi Buffon dell'unico titolo importante che sarebbe mancato, il giorno del suo ritiro, allo strepitoso palmarés di Gigi. Era il 28 maggio 2003: la fine di un'epoca sigillata dal gol di Sheva ma, soprattutto, dalla scomparsa di Gianni Agnelli, deceduto quattro mesi prima nella sua Torino.