Era il 28 febbraio 2011 quando il Milan di Allegri spense i sogni Scudetto del Napoli con un 3-0 diventato manifesto di potenza e rinascita rossonera. Quattordici anni dopo, San Siro torna a essere il teatro di una sfida che profuma di destino: da una parte ancora Allegri, dall’altra Antonio Conte.
C’era una volta un Milan che sembrava tornato quello di una volta. Non era più il regno degli “Immortali” di Sacchi né degli “Invincibili” di Capello, ma aveva dentro di sé quell’energia che soltanto le grandi squadre sanno trasmettere.
Era il primo Milan di Massimiliano Allegri: difeso dal monumento Nesta e dal futuro baluardo Thiago Silva, illuminato dall’eleganza di Seedorf, armato dalla rabbia di Gattuso e Van Bommel, trascinato dal genio lunatico di Zlatan Ibrahimović. E accanto a lui, Alexandre Pato: giovane, fragile, elettrico, ancora alla ricerca di se stesso ma capace di accendersi come un fulmine.
Di fronte, un Napoli che cominciava a sognare. Quello di Walter Mazzarri, figlio di un’epoca in cui la parola "outsider" iniziava a stargli stretta: con Cavani che segnava a raffica, con Hamsik che dettava i tempi, con Lavezzi (assente quella sera per infortunio) che portava la fantasia di una città intera in campo. Erano anni in cui Napoli tornava a respirare la parola “Scudetto”, sussurrata a bassa voce ma cullata con orgoglio.
Quella notte, il 28 febbraio 2011, San Siro si trasformò nel teatro di una storia che raccontava due mondi. Da una parte, i rossoneri, risvegliatisi dopo un lungo sonno. Dall’altra, gli azzurri, pronti a sfidare una delle corazzate del calcio italiano. Milan e Napoli erano in testa alla classifica, divise da appena tre punti. E quella sera, il Diavolo giocò per dimostrare che lo Scudetto non era solo un obiettivo: era un destino da riconquistare.
Il Milan affonda, il Napoli sparisce
I primi 45 minuti furono prudenza pura. Il Napoli si schierò con un 3-4-2-1 estremamente coperto: Cavani troppo solo per impensierire Nesta e Thiago Silva. Il Milan spingeva, ma senza lucidità. Aronica fu decisivo due volte, prima salvando su Van Bommel, poi negando il gol a Pato sulla linea. Il risultato restava fermo, ma la sensazione era chiara: bastava poco per rompere l’equilibrio.
Quel poco arrivò al 49’. Su un colpo di testa scomposto di Pato, il pallone finì sul braccio di Aronica. Rocchi assegnò il rigore. Decisione che fece discutere, ma che non lasciava appigli in tempo reale. Dal dischetto, Ibrahimović fu chirurgico. 1-0. San Siro si accese. Il Napoli si spense.
Dopo il vantaggio, il Milan alzò il ritmo. Il Napoli smise di essere pericoloso: Cavani restò isolato, Hamsik e Mascara vennero neutralizzati facilmente. Allegri colse il momento e cambiò: fuori Robinho, dentro Boateng. Mossa perfetta.

Al 77’, Ibrahimović inventò un filtrante d’alta scuola, Pato strappò sulla sinistra e servì Boateng, puntuale sul secondo palo. Il 2-0 chiuse virtualmente il match. Due minuti dopo, il sigillo finale: Pato partì dalla propria metà campo, eluse la pressione, sfruttò il movimento di Ibrahimović e scaricò un destro a giro sotto l’incrocio. 3-0. Fine dei giochi.
3-0 spartiacque
Il Napoli uscì da San Siro con un solo tiro in porta e sei punti di distacco. Il campionato, che sembrava aperto a tre, si ridusse a due contendenti: Milan e Inter. Ma da quel momento in poi, i rossoneri non si voltarono più.
Allegri, come suo stile, tenne il profilo basso: "Il campionato è lungo". Ma il Napoli, quella notte, uscì dal discorso Scudetto. Il Milan, invece, si avviò verso il titolo numero 18, il primo dopo sette anni di magra.
Per Allegri fu una consacrazione: divenne il secondo allenatore più giovane a vincere lo Scudetto nell’era dei tre punti, superato l’anno dopo solo da un certo Antonio Conte.
Oggi, 14 anni dopo
È di nuovo il 28, anche se questa volta siamo a settembre. È di nuovo San Siro. Ed è di nuovo Milan-Napoli. Allegri è ancora sulla panchina rossonera, ma questa volta la squadra con più slancio è il Napoli, avanti di tre punti. In panchina, proprio Antonio Conte. L’uomo che ha preso in mano una squadra ferita e le ha dato un’identità, un passo, e soprattutto una fame che somiglia a quella che il Milan mostrò quattordici anni fa.

È un incrocio di epoche e visioni. Allegri contro Conte. Due filosofie diverse, due stili inconciliabili. Ma entrambi sanno vincere, entrambi sanno come si gestisce il peso di una grande partita.
Il Milan vuole ritrovare quel senso di dominio ricostruito nel 2011. Il Napoli ha già completato il viaggio iniziato con Cavani, Lavezzi e Hamsik, vincendo due Scudetti in tre anni. Ma le squadre di Conte, si sa, non smettono mai di avere fame. E allora spazio al campo, dove verrà scritto indubbiamente un altro pezzo di storia.