Dopo l'appassionante avventura a Bergamo, Gian Piero Gasperini ha portato il suo metodo e le sue idee nella capitale. I numeri, però, raccontano di un approccio non proprio sovrapponibile e, quindi, di una Roma diversa, più solida e meno esplosiva rispetto alla sua Atalanta.
La Roma 2025-26, dopo dieci giornate di campionato, ha raccolto 21 punti, con 10 gol fatti e 5 subiti, una media da un gol segnato e mezzo gol incassato a partita, che vale il secondo posto in classifica a pari merito di Inter e Milan. L'Atalanta 2024-25, nello stesso ruolo di outsider di lusso, aveva chiuso terza con 74 punti, 78 reti realizzate (oltre due a partita) e 37 subite (praticamente una a gara). Numeri che certificano un calcio più offensivo e meno guardingo rispetto a quello, più pragmatico, visto oggi all'Olimpico.
Le similitudini: equilibrio e identità tattica
Le due squadre condividono alcuni tratti strutturali che testimoniano la continuità della filosofia gasperiniana. Sia la Roma che l'Atalanta segnano in maniera bilanciata tra i due tempi - 50% dei gol nel primo e, quindi, 50% nel secondo per i giallorossi, 48,7% e 51,3% per i bergamaschi - a conferma di una gestione costante del ritmo gara.

Anche la distribuzione territoriale delle reti mostra analogie: la maggior parte dei gol arriva da dentro l’area di rigore (90% Roma, 78,2% Atalanta) e la fonte principale in fase realizzativa resta il gioco d’azione (70% Roma, 76,9% Atalanta), con un’incidenza simile sulle palle inattive.
Interessante anche una curiosità tattica: l'Atalanta di ieri (8,1% dei gol subiti), così come la Roma di oggi (20%) non gradiva i falli laterali difensivi, un dettaglio marginale ma ricorrente nel sistema difensivo a uomo che Gasperini predilige.
Le differenze: solidità vs gestione del rischio
La principale frattura tra le due esperienze sta nell'equilibrio tra rischio e controllo. Come dicevamo, la Roma di Gasperini segna la metà dei gol e ne subisce la metà rispetto alla sua ultima Atalanta: meno produzione offensiva, ma anche una struttura difensiva più impermeabile.
Le modalità di vulnerabilità, però, divergono: la Roma concede il 40% dei gol da fuori area (contro appena il 10,8% dell'Atalanta), ma molto meno dentro l'area. È il segno di una squadra che difende più bassa, con blocchi compatti, rinunciando a tratti al costante pressing alto tipico delle Dea.
Cambia anche il momento della fragilità: mentre l'Atalanta soffriva soprattutto nel primo quarto d'ora della ripresa (46’-60’) con il 37,8% dei gol subiti, la Roma tende a vacillare all’inizio delle gare con il 40% dei gol incassati nei primi 15 minuti del match.
Fine di un ciclo, inizio di un altro
Il confronto tra le due squadre va, però, letto anche nella prospettiva temporale: si tratta dell'ultima Atalanta di Gasperini e della sua prima Roma. Stiamo, quindi, mettendo a confronto un ciclo maturo con uno appena iniziato.
In questo senso, i dati dell'Atalanta possono rappresentare una possibile proiezione di quello che la Roma potrebbe diventare tra qualche tempo, una volta assimilati meccanismi e automatismi.
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Ciò che è già evidente è la solidità: se i giallorossi manterranno questa compattezza e le grandi favorite - Napoli e Inter su tutte - dovessero accusare cali di tensione, la Roma potrebbe ripercorrere lo stesso sentiero della Dea, trasformandosi da rivelazione a reale candidata allo Scudetto. Soprattutto se a gennaio dovessero arrivare i rinforzi che Gasp ha già chiesto in estate.
Dovbyk vs Retegui: due centravanti, due filosofie
Facciamo, ora, uno zoom dal generale al particolare, soffermandoci sul confronto tra i numeri dei due centravanti che chiarisce quanto l’approccio tattico incida sull’efficacia offensiva. Mateo Retegui, nella stagione scorsa con l’Atalanta, aveva rappresentato il fulcro dell’attacco con 25 gol in 38 giornate. Con lui in campo, la squadra vinceva nel 61% dei casi, segnando 2,1 gol di media e raccogliendo 2 punti a partita.
Alla Roma, Artem Dovbyk ha finora segnato 2 reti in 10 giornate, ma la sua presenza ha coinciso con 7 vittorie su 9 gare (77,8%), con 2,3 punti di media: meno incisivo sotto porta, ma centrale nell’equilibrio e nella costruzione della manovra.
Dovbyk partecipa più all’azione, mentre Retegui finalizzava di più? Sì, ma non solo. Si tratta, infatti, di due interpretazioni del centravanti gasperiniano che rispecchiano l'evoluzione del tecnico più che una scelta dei calciatori in questione. Se a Bergamo il 'numero nove' era la punta di un sistema che produceva in massa, a Roma è diventato il primo difensore e il perno su cui ruota la fase offensiva più controllata.

Conclusione: una metamorfosi tattica
Dai numeri emerge una metamorfosi chiara. Gasperini non ha rinnegato se stesso, ma ha adattato il suo calcio all’ambiente, al momento e, naturalmente, al materiale tecnico. La Roma è - quantomeno sinora - una versione più riflessiva della sua Atalanta: meno gol, più equilibrio, una fase difensiva meglio calibrata e un centravanti chiamato a essere collante più che finalizzatore.
Resta da capire se questa formula, che oggi garantisce solidità, saprà nel tempo ritrovare anche la spinta offensiva che rese la Dea una macchina da gol temuta in tutta Europa. Meno fuoco, più calcolo: insomma, la Roma di Gasperini sembra costruita per non concedere, anche a costo di segnare meno.

