Con un clamoroso 4-1 rifilato all’Italia, quattro volte campione del mondo, domenica 16 novembre la Norvegia ha staccato il biglietto per il palcoscenico più prestigioso del calcio internazionale, tornando ai Mondiali per la prima volta dal 1998. Un traguardo storico, firmato da un percorso netto: otto vittorie in altrettante partite e primo posto indiscusso nel girone.
Il successo contro la formazione guidata da Gennaro Gattuso ha assunto i contorni di un vero spartiacque per il movimento calcistico norvegese. A San Siro, gremito e carico di aspettative, il gol-lampo di Pio Esposito aveva inizialmente acceso l’entusiasmo degli Azzurri, ma si è trattato solo di un’illusione: da lì in avanti, il match ha preso una piega nettamente favorevole agli scandinavi, apparsi in pieno controllo tecnico e mentale.
Dopo aver travolto la nazionale italiana con una prestazione tanto autorevole, è lecito domandarsi: questa Norvegia può davvero aspirare a sollevare la Coppa del Mondo?
Il fattore Erling Haaland
Erling Haaland è, con ogni probabilità, il calciatore più dominante del pianeta in questo momento: 16 gol in otto partite di qualificazione, un ritmo da capogiro con cui ha trascinato la Norvegia - nonostante le sue origini inglesi, essendo nato a Leeds - verso un traguardo storico.
Un bottino che eguaglia il primato di Robert Lewandowski per il maggior numero di reti realizzate in una singola campagna di qualificazione ai Mondiali. Haaland è il fulcro irrinunciabile della nazionale scandinava, un attaccante che sembra vivere al di sopra di ogni logica difensiva: finora nessuno ha trovato l’antidoto al suo strapotere fisico e alla sua implacabile freddezza sotto porta.
In stagione è già arrivato a 32 reti tra club e nazionale, mentre la doppietta rifilata all’Italia ha ulteriormente gonfiato il suo ruolino internazionale: 55 gol in sole 48 presenze, un margine di 22 marcature sul secondo miglior marcatore norvegese di sempre. Numeri semplicemente vertiginosi.
In un’intervista rilasciata a Time Magazine a inizio anno, Haaland aveva stimato allo 0,5% le possibilità della Norvegia di vincere il Mondiale, salvo poi concedersi un sorriso e un’apertura al sogno: “Se ci qualificassimo per il Mondiale, sarebbe come se una grande nazione lo vincesse. Sarebbe la festa più grande di sempre. Le scene a Oslo sarebbero incredibili.”
Fortunatamente per la Norvegia, se dovesse verificarsi il peggior scenario possibile e Haaland non potesse partecipare al Mondiale per qualsiasi motivo, c’è il gigante Alexander Sørloth pronto a prendere il suo posto.
I giovani talenti che si fanno avanti
Uno dei tratti più sorprendenti di questa Norvegia è l’età media del gruppo: appena 25,8 anni. Una squadra giovane, affamata, e con un potenziale che la colloca tra i progetti più intriganti del panorama internazionale. E, soprattutto, senza il minimo timore di lasciare un’impronta.
Tra i talenti più luminosi spiccano gli esterni Antonio Nusa e Oscar Bobb, due profili che stanno rapidamente scalando gerarchie e consensi.
Nusa, 20 anni, sta vivendo una stagione positiva con il Lipsia dopo un percorso non privo di ostacoli, ma è proprio con la maglia della Norvegia che ha mostrato il suo lato migliore. Contro l’Italia ha firmato il gol del pareggio - quello che ha indirizzato la partita - con un destro secco che ha sorpreso Gianluigi Donnarumma poco dopo l’ora di gioco. È il suo sesto centro in nazionale, un bottino costruito in appena due anni.
Bobb, 22 anni, è invece tornato a brillare dopo il grave infortunio alla gamba che gli aveva fatto saltare quasi tutta la scorsa stagione. Al Manchester City sta finalmente ritagliandosi spazio, con cinque presenze da titolare nelle sue otto apparizioni in Premier League. Anche lui ha lasciato il segno a San Siro: suo l’assist che ha spalancato la porta al primo gol di Haaland.
Una generazione che corre veloce, e che sembra avere tutta l’intenzione di non fermarsi.
Solidità difensiva

Mentre i riflettori restano puntati sulla straordinaria potenza offensiva della Norvegia, il reparto arretrato è passato quasi sotto traccia. Eppure la squadra di Ståle Solbakken ha incassato appena cinque reti in tutto il percorso di qualificazione, chiudendo con una differenza reti monstre di +32. Un dato che parla da sé.
Tutto parte da Sander Berge e Patrick Berg che si sacrificano in mezzo al campo per non lasciare mai scoperti i difensori norvegesi. Ma il vero cuore del sistema è la coppia centrale.
Kristoffer Ajer, colonna del Brentford, è il veterano del gruppo. È approdato in nazionale prima ancora che questa nuova generazione esplodesse, e per molti è stato il primo segnale della rinascita del calcio norvegese. Nelle qualificazioni si è confermato quasi invalicabile: 23 duelli vinti, nove contrasti riusciti, 36 palloni recuperati e sei intercetti nelle sue otto presenze. Numeri da leader.
Accanto a lui, Torbjørn Heggem - protagonista al Bologna - ha offerto un rendimento altrettanto convincente: nove contrasti vinti, 24 duelli a favore e 20 recuperi. Insieme hanno costruito una delle coppie difensive più affidabili e sorprendenti del continente, un tandem che ha posto le fondamenta del nuovo corso norvegese.
Verdetto
Ci sono alcune squadre che partono favorite rispetto alla Norvegia – Inghilterra, Spagna e Francia, solo per citarne alcune – ma se dovessero avere un sorteggio favorevole e un po’ di fortuna nelle partite più difficili, la Norvegia potrebbe essere la vera outsider del torneo.
