Ci sono due frasi che Pep Guardiola ha buttato lì, durante la conferenza stampa della vigilia della sfida Champions tra Juventus-Manchester City, sulle quali il club bianconero farebbe bene a riflettere. E già, perché a pronunciarle non è un semplice osservatore, ma quello che, crisi o non crisi, è unanimamente considerato il miglior allenatore al mondo.
Uno status che non dipende solo ed esclusivamente dalla sostanza, ossia dai tanti, tantissimi, trofei vinti, ma anche e soprattutto dalla forma, perché il tecnico catalano ha trionfato imponendo sempre il proprio gioco, senza tradire mai la propria filosofia e costringendo le altre squadre ad adattarsi alla sua e mai viceversa.

Ed è per questa ragione che quando Guardiola parla, tutti lo stanno a sentire in religioso silenzio. E non perché siano tutti necessariamente d'accordo con lui. Anzi. Come accade da sempre ai più grandi, il numero dei suoi detrattori è pari a quello degli ammiratori.
Nel suo caso, però, i detrattori sono veri e propri haters che lo criticano, quasi senza fondamento, per partito preso, quando non per antipatia personale. Anche perché attaccarlo professionalmente ha meno senso, per restare in Spagna, delle leggendarie tenzoni tra Don Chisciotte e i mulini a vento.
I consigli di Pep
"In Italia, la Juventus è la squadra migliore per la sua storia. Sono abituati a giocare con tanta pressione. Ma la qualità c'è e Thiago si vede quale direzione voglia dare al suo gioco. A Bologna ha fatto un lavoro eccezionale anche nella mentalità dei giocatori. Ci vuole tempo per lui per assestarsi e credo riuscirà a creare quello che ha in testa".
E non si tratta della solita retorica guardioliana che s'impone, probabilmente per uno spiccato senso di cortesia e rispetto, di incensare le doti dei propri avversari. A supporto delle sue parole, infatti, Pep ha portato la propria esperienza personale.
"Veniamo giudicati sui risultati. Non mi permetto di parlare della Juve perché sono lontano, ma ho visto le loro partite negli ultimi giorni e posso dire che sono sulla buona strada. Non è facile entrare in un posto nuovo e inserire subito le proprie idee, soprattutto in società in cui ci sono degli obblighi come Juve, Milan e Inter. C'è bisogno di tempo. Io il primo anno a Manchester non ho vinto nulla, ma hanno avuto pazienza e abbiamo fatto la storia".
I precedenti
Ecco: tempo e storia, due concetti che vanno spesso a braccetto. Si tratta di un consiglio spassionato per Cristiano Giuntoli nonché di un vero e proprio assist per Motta che, come lui, è cresciuto calcisticamente nella cantera blaugrana.
E poi, prim'ancora di Pep e solo per ricordare il caso di un altro allenatore che ha fatto la storia del calcio, anche Arrigo Sacchi è stato costretto a superare le resistenze di chi, a differenza sua, non era pronto a cambiare le regole del gioco e auspicava il suo esonero.
Lo stesso Guardiola, dopo aver deluso nelle sue prime due partite ufficiali sulla panchina del Barcellona (una sconfitta e un pareggio), era stato messo alla gogna da chi ne chiedeva la testa in quanto "troppo giovane e impreparato". Il resto è storia.

Insomma, la Juventus non può davvero permettersi un'altra sbandata come quella avuta con Maurizio Sarri, mandato via dopo un anno, nonostante la vittoria dello scudetto. In quegli anni, infatti, la Vecchia Signora dava per scontato il tricolore e, invece, da allora non ne ha più vinto uno. E non si tratta di credere in un allenatore, ma in un progetto che hai deciso di sposare.
Per cambiare la filosofia e la mentalità di una squadra ci vogliono le idee giuste e, allo stesso modo, il tempo necessario a vederle fiorire. Le idee giuste Motta sembra averle (e non lo diciamo noi, ma Pep Guardiola), resta solo da capire se chi è sopra di lui saprà avere la pazienza necessaria per aspettarlo.