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Esclusiva, Zabaleta: “De Bruyne ha cambiato la storia del City, per Pep meglio iniziare in casa"

Pablo Zabaleta con la maglia del City
Pablo Zabaleta con la maglia del CityAnthony DEVLIN / AFP
L’ex difensore dei Citizens, attuale secondo allenatore della nazionale albanese, ritorna sul match di 14 anni fa contro gli azzurri, alla loro prima esperienza in Champions. Dopo nove anni all’Etihad, ricorda le sue emozioni più forti al primo titolo vinto con Mancini in panca e di come il club sia cresciuto, senza dimenticare la triste finale dei Mondiali 2014.

In campo spiccava per le sue doti instancabili di terzino destro, qualcosa che oggi cerca di trasmettere ai calciatori albanesi ai suoi ordini. Secondo del commissario tecnico Sylvinho, Pablo Zabaleta interviene in esclusiva a Flashscore per parlare della sua attuale esperienza ma anche per ritornare sulla sfida tra Manchester City e Napoli del settembre 2011. 14 anni dopo, l’argentino ricorda quel debutto all’Etihad in una stagione che poi sarebbe culminata con la prima vittoria del nuovo City in Premier. Una vittoria nella quale c’è la sua firma indelebile, anche se in molti non lo ricordano…

A 40 anni compiuti, oggi Pablo Zabaleta è vice allenatore di Sylvinho nella nazionale albanese. Un argentino e un brasiliano a lavorare insieme nel calcio, una rarità…

(Ride). Si, è vero che calcisticamente è qualcosa di strano. Ci siamo conosciuti nel 2009-10 al Manchester City, e lui veniva dal Barcellona, mentre io ero arrivato un anno prima dall’Espanyol. Lì è nata un’amicizia e tre anni fa mi ha chiamato per aiutarlo ad allenare l’Albania. Un’opportunità che ho colto al volo.

Andare al Mondiale è il sogno. Ora siete secondi nel gruppo: l’Inghilterra è lontana sette punti ma ne avete uno in più della Serbia. E la prossima sfida sarà proprio in casa dei rivali.

Ancora non sappiamo nemmeno se giocheremo a Belgrado. È una sfida che va presa con le dovute precauzioni, perché nel 2016 ci furono dei problemi (vari tafferugli tra i giocatori dopo che un drone stava sorvolando con una bandiera della Grande Albania, che include lo stato del Kosovo). È una partita che socialmente comporta molti rischi, ma noi vogliamo andare al Mondiale.

Cosa succederebbe se una nazione di neanche tre milioni di abitanti dovesse raggiungere questo traguardo?

Ah, ci farebbero una statua a Tirana! (ride)

Sei stato, in ordine cronologico, il primo argentino di sempre al Manchester City. Poi sono arrivati illustri compatrioti come Carlos Tevez, Sergio Aguero, Julian Alvarez, solo per citarne alcuni. Eppure, dopo nove anni, sei quello che ha piantato il seme argentino con più frutti.

Sono arrivato giovane, a 23 anni. E la verità è che, beh, sì, ho trascorso praticamente tutta la mia carriera in Inghilterra. Sono stati 12 anni tra Manchester City e West Ham. 

Hai assistito dal vivo alla trasformazione di un City da squadra di metà classifica a dominatore in Inghilterra e in Europa.

Sì, credo che insieme a Vincent Kompany e Joe Hart sono stato tra i pochi ad aver visto la trasformazione prima dell'arrivo dei nuovi proprietari. Non solo a livello sportivo, ma anche in termini di infrastrutture. All’inizio non pensavo si potesse davvero vincere qualcosa con un club di metà classifica. E poi, invece…

Quella domenica 13 maggio 2012 cambiò tutto…

Quella vittoria nei minuti finali contro il QPR fu un evento storico. Soprattutto perché ci giocavamo il titolo con il Manchester United, che stava vincendo a sua volta col Sunderland, e noi eravamo sotto di un gol al 90esimo.

Di quel 3-2 nessuno o quasi ricorda che il primo gol fu tuo.

(Ride). È vero, probabilmente è il gol più dimenticato della storia! Ricordo che ero entrato in area e Yayá Touré mi aveva servito. Avevo poco tempo e poco spazio per riflettere e ho calciato come ho potuto. La palla è stata respinta dal portiere in modo strano, si è alzata ed è finita all’incrocio. Ma alla fine è stato un gol quasi inutile, se ci pensi.

Poi, il finale epico.

Grazie al cielo ci ha pensato il Kun (Aguero) a segnare e a regalarci un titolo indimenticabile. Dall'1-2 al 90esimo in quattro minuti siamo passati in vantaggio e abbiamo vinto il primo titolo della storia moderna del City.

Possiamo dire che in quel momento non solo è cambiata la storia del City ma anche la tua?

Assolutamente sì, soprattutto per come è successo tutto. Si tratta di risultati che raramente accadono nel mondo del calcio. Quanto vissuto in quel momento è stato come se fosse una scena da film. E abbiamo festeggiato il doppio.

Il Kun ti ha restituito anche un po’ il favore di averlo aiutato nell’ambientamento, e di fargli da traduttore no? 

Sì, (ride). Ricordo che quando arrivarono lui e Carlitos (Tevez) io facevo da interprete costantemente. Dopo un po’ loro hanno iniziato a capire l’inglese, ma all’inizio toccava a me aiutarli. E un giorno alla dirigenza del club ho chiesto un aumento per le mie prestazioni da interprete! (ride).

Due anni dopo, invece, in quella finale Mondiale tra Argentina e Germania al Maracaná non si trattò di un film con un lieto fine. 

Sì, quella finale persa è una cicatrice che durerà praticamente tutta la vita, che non guarirà mai. A fine gara avevo 29 anni, e sapevo che per me sarebbe stato molto difficile forse poter giocare per la Coppa del Mondo successiva perché non tutti arrivano a 33 o 34 anni per giocare, soprattutto un terzino. Per fortuna, Messi e Di Maria hanno vinto in Qatar e si sono tolti di dosso quella maledizione. Ma per me fu una delusione enorme, perché essere campione mondiale è toccare il cielo con un dito.

Torniamo alla tua vecchia squadra. Oggi si gioca Manchester City-Napoli all’Etihad. Tu eri in campo il 14 settembre 2011 nello stesso stadio. E anche in quel caso si trattava della prima partita del girone. 

Il girone era difficilissimo, visto che c’erano anche Bayern Monaco e Villarreal. Io conoscevo già Lavezzi, con il quale avevo giocato nelle giovanili dell’Argentina, e ci eravamo scritti prima della partita. Ma il City non era ancora fortissimo, e non eravamo ancora concentrati al 100% sulla Champions. Il Napoli ci sorprese pareggiando a Manchester e battendoci al San Paolo.

Quella squadra aveva comunque un attacco con Aguero, Balotelli, Dzeko.

Eppure fummo eliminati proprio per gli scontri diretti col Napoli. Ricordo che al ritorno arrivammo all’aeroporto di Capodichino e trovammo una cinquantina di tifosi azzurri all’aeroporto che ci insultavano! Mi sembrava di essere tornato in Argentina (ride). Anche quando eravamo all’hotel, sul lungomare, la strada era piena di tifosi del Napoli, e lì capimmo che sarebbe stata dura.

Alla fine della stagione, però, arrivò il titolo di Premier.

Credo che arrivò a corollario di una stagione in cui sapevamo di doverci concentrare su quel percorso. Quindi uscire dalla Champions ai gironi è stato in parte propedeutico. 

Da lì è iniziata la gloriosa storia recente del City. Oggi, però, sia la tua ex squadra sia il Napoli sono squadre totalmente diverse da 14 anni fa.

Il Napoli è campione d’Italia e ha un allenatore come Antonio Conte, un grandissimo allenatore. Ha giocatori molto fisici e ha avuto la forza di andare a prendere un certo Kevin De Bruyne. L'obiettivo è chiaro: non solo aspirare al meglio in Italia ma anche a competere ad alti livelli in Europa.

In un’intervista di qualche mese fa al sito ufficiale del City hai detto che De Bruyne ha cambiato la vostra squadra quando arrivò nel 2015.

È così, in effetti. Fa un po’ strano vederlo come un altro azzurro ma sono sicuro che continuerà a fare la differenza. Forse non è più il giocatore al suo apice a livello fisico come lo è stato intorno al 2018, ma ha una qualità unica e gli attaccanti che giocano con lui sono dei privilegiati. È ancora un fenomeno.

Per il City che partita sarà?

Una partita difficile, perché il Napoli è cresciuto in questi anni. Ma sono convinto sempre che in Champions è meglio debuttare in casa, soprattutto essendo l’inizio della stagione. È stato meglio per Guardiola evitare il caos di Napoli e poter disputare questa partita davanti al proprio pubblico. È come in Sudamerica, alcuni stadi è meglio evitarli!