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Champions League, Psg-Inter: Luis Enrique e quel conto aperto con il calcio italiano

Luis Enrique alza al cielo la Champions vinta con il Barcellona dopo aver battuto in finale la Juventus
Luis Enrique alza al cielo la Champions vinta con il Barcellona dopo aver battuto in finale la JuventusOLIVER LANG / AFP
Dopo l’esperienza complicata alla Roma, il tecnico asturiano ha costruito una carriera di successo vincendo nel 2015, alla guida del Barcellona del tridente più forte del mondo, anche una Champions League superando la Juventus in finale. Dieci anni dopo c'è un'altra italiana sulla sua strada verso la gloria.

Due finali di Champions League da allenatore e in entrambi i casi contro rivali italiane. Per Luis Enrique il percorso europeo sembra intrecciarsi inevitabilmente con un contesto calcistico da cui si era allontanato senza rimpianti, ma senza nemmeno mai voltargli del tutto le spalle.

Nel 2015, il suo Barcellona superò la Juventus nella finale di Berlino. Ora, dieci anni dopo, guiderà il Paris Saint-Germain, stavolta contro l’Inter, nella partita che tutti gli allenatori vorrebbero disputare almeno una volta nella propria carriera. E, oggi come allora, il tecnico asturiano si ritrova di fronte quel calcio italiano che tredici anni fa lo aveva messo in discussione.

La finale di Champions League
La finale di Champions LeagueFlashscore

L’unica esperienza da allenatore in Italia risale alla stagione 2011-2012, quando accettò la panchina di una Roma immersa in una fase di transizione tecnica e societaria. Portò con sé un’idea di gioco chiara, ispirata al possesso palla, alla costruzione dal basso e alla ricerca della superiorità posizionale. Il contesto, però, non gli fu favorevole: la squadra faticò a recepire i suoi concetti e l’ambiente circostante si dimostrò impaziente e poco pronto al cambiamento.

Da Roma a Berlino

Il risultato fu una stagione anonima, chiusa al settimo posto in campionato e, quindi, fuori dalle coppe europee. A fine anno, fu lo stesso Luis Enrique a dimettersi. Ufficialmente per motivi professionali, nei fatti perché era convinto che non ci fosse terreno fertile per portare avanti il suo progetto.

Nonostante le difficoltà, però, Luis Enrique ha spesso sottolineato di conservare bellissimi ricordi dell’Italia e della sua esperienza alla Roma, riconoscendo come quella movimentata avventura gli abbia insegnato molto, sia sul piano professionale che personale. 

Un legame che non ha mai rinnegato nonostante quel fallimento avrebbe potuto dare un colpo letale alle sue ambizioni. In tanti, infatti, si convinsero che non fosse tagliato per allenare ai più alti livelli, che la sua proposta fosse lontana dalla realtà e che il suo carattere non lo aiutasse. E, invece, si sbagliavano. Pur senza cercare rivincite plateali, Lucho ha dimostrato il contrario

Dopo un anno di apprendistato a Vigo, salì sul ponte di comando di quel Barcellona che, qualche anno prima, gli aveva dato la possibilità di iniziare la propria carriera di allenatore (al Barça B) mentre Josep Guardiola metteva in atto la propria rivoluzione copernicana alla guida della prima squadra. E proprio come Pep, anche lui vinse tutto al primo colpo: Liga, Coppa del Re e, soprattutto, Champions League battendo, come dicevamo, la Juve di Allegri in finale a Berlino.

Il Psg di Luis Enrique

E se in Catalogna aveva dalla sua il lavoro fatto precedentemente da Guardiola e poteva contare in campo sul tridente più forte dell'era moderna (quello composto da Messi, Suarez e Neymar), quando è arrivato a Parigi ha trovato ben poco da salvare e ciononostante è riuscito a costruire in pochissimi tempo una squadra a sua immagine e somiglianza, riuscendo a trasformare in un'opportunità l'addio del suo miglior calcaitore Kylian Mbappé.

"Saremo più forti senza di lui", ha assicurato all'inizio della sua seconda stagione al Parco dei Principi. E anche questa volta ha avuto ragione lui. Il Psg di oggi è, infatti, una squadra più matura tatticamente rispetto alle versioni precedenti e il merito è proprio di chi è riuscito a tirare fuori il meglio anche da calciatori spesso giudicati incostanti, come Ousmane Dembélé.

I numeri di Dembélé in Champions
I numeri di Dembélé in ChampionsFlashscore

Lo scontro con l’Inter di Simone Inzaghi offre, ora, a Luis Enrique una nuova occasione di misurarsi con il calcio italiano, in una versione più evoluta e moderna rispetto a quella con cui ha fatto i conti, ogni maledetta domenica, sulla panchina della Roma, ma comunque coerente nei suoi principi di organizzazione, attenzione difensiva e compattezza.

La finale contro i nerazzurri rappresenta, così, un nuovo punto di contatto tra passato e presente. Luis Enrique, però, non la interpreta come una rivincita nel senso più stretto del termine, bensì come un’occasione per dimostrare, ancora una volta, che le sue idee avevano solo bisogno del giusto contesto per esprimersi. 

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