Arrivare alla trasferta del Metropolitano con quattro vittorie su quattro nel girone è sicuramente un buon punto di partenza. L'Inter, però dev'essere cosciente che i 12 punti accumulati sinora in Champions League non raccontano tutta la verità. Le avversarie battute fin qui - Ajax, Slavia, Saint-Gilloise e Kairat - non hanno realmente misurato lo stato di salute della squadra di Cristian Chivu, che ora si ritrova davanti la parte più ripida della scalata: Atlético Madrid, Liverpool, Arsenal e Borussia Dortmund.
È in questo secondo blocco che si deciderà gran parte delle possibilità di chiudere tra le prime otto e, quindi, di evitare i playoff. Ed è proprio qui che l’Inter arriva con la zavorra di una difficoltà ormai strutturale: quella di imporsi nei grandi appuntamenti. Lo aveva sintetizzato con lucidità Chivu dopo l’ennesimo derby perso: "Partite come questa possono lasciare qualche segno", ha osservato chiedendo, però, ai suoi di "sciogliere le delusioni e superare la frustrazione".

I numeri confermano il quadro: tre sconfitte su tre contro Milan, Juventus e Napoli. Un trend negativo che nasce già lo scorso anno, quando la squadra di Simone Inzaghi ne totalizzò appena sette su ventiquattro contro queste tre stesse rivali. L'ultimo successo in uno scontro diretto risale addirittura al 22 aprile 2024, nel giorno del derby-scudetto che cucì la seconda stella sul petto dell’Inter.
Da allora il deserto: "Per caratteristiche dei miei, attacchiamo con tanti uomini e ciò ti espone alle ripartenze. Abbiamo subito una sola transizione, ma è bastata. Bisogna percepire meglio il pericolo, e magari spendere qualche cartellino giallo in più". Un’autocritica che descrive alla perfezione la difficoltà di una squadra che crea, spinge, ma spesso paga a carissimo prezzo le proprie disattenzioni e ingenuità.
La crisi dei leader
Alle fragilità collettive si sommano poi le crepe dei singoli. La gestione di Lautaro Martínez non è diventata un caso, ma comincia a suscitare qualche interrogativo: sostituito al 64’ del derby, come già accaduto con la Juventus, nonostante questa volta non fosse stanco: "È stata una scelta tecnica: non posso cambiare? Anche chi è in panchina merita di dare il proprio contributo", ha ribadito stizzito Chivu. La verità, però, è che è una decisione pesante, presa nel momento in cui la squadra avrebbe avuto bisogno del suo leader carismatico.

Allo stesso modo è diventato simbolico l’errore di Hakan Çalhanoglu: sbavatura decisiva sul gol di Christian Pulisic e rigore fallito, quasi una fotografia rovesciata rispetto al regista affidabile e glaciale delle ultime stagioni.
E poi c’è Yann Sommer, l'ex paratutto, per il quale si stanno accumulando episodi poco rassicuranti: le incertezze con la Juventus, l’uscita a vuoto con la Roma e l’ultimo errore nel derby alimentano i dubbi sul futuro di un portiere in scadenza e destinato a lasciare Milano a fine stagione: "Non parlo di singoli, sarebbe come ammettere un fallimento - ha chiarito il tecnico rumeno - . Siamo tutti dentro questa situazione". Ma il tema resta sul tavolo ed è già da diverse settimane (per non dire mesi) che l’Inter sonda il mercato alla ricerca di un nuovo numero uno.
L'esame al Metropolitano
C'è tutto questo dentro lo zaino che l’Inter porta sulle proprie spalle a Madrid: una squadra competitiva, come dimostrano le undici vittorie nelle dodici partite disputate prima del derby, ma che si inceppa quando il livello si alza. E l'Atlético di Diego Pablo Simeone rappresenta, soprattutto nel proprio fortino, il primo vero esame che apre il terribile ciclo che aspetta l'Inter in Champions League.

Per uscirne vivi, servirà ribaltare la tendenza e farlo in fretta, non solo per rivendicare il proprio status di vice campioni d’Europa, ma anche per recuperare fiducia e consapevolezza nei propri mezzi in vista dei prossimi impegni in campionato che resta il principale obiettivo della stagione nerazzurra.
